Il suggestivo spazio del PAC, il Padiglione d’Arte contemporanea di Milano, ospita una mostra interamente dedicata all’opera della fotografa e artista Luisa Lambri. Il padiglione, progettato da Ignazio Gardella nel 1949, è stato poi costruito tra il 1951 e il 1953 nella zona di Palestro, davanti ai Giardini Pubblici Indro Montanelli. Si trova accanto alla GAM, Galleria d’Arte Moderna di Milano e alla Villa Reale, altro spazio che ospita rassegne ed eventi culturali come Piano City Milano. La mostra fotografica sull’opera della Lambri è stata concepita dai curatori come un’integrazione totale tra opere e spazio circostante. Si viene proiettati all’interno di una suggestiva composizione, in un’esposizione in cui la fotografia assume maggior valore grazie alla collocazione sulle pareti. “L’arte di Luisa Lambri ruota attorno alla condizione umana e al suo rapporto con lo spazio, toccando ambiti come la politica della rappresentazione, l’architettura, la storia della fotografia astratta, il modernismo, il femminismo, l’identità e la memoria”. Il titolo “Autoritratto” è ovviamente un riferimento al modo intimo e personale attraverso cui l’artista percepisce spazi, oggetti e altri soggetti delle sue fotografie, non essendoci neanche un vero e proprio autoritratto della Lambri stessa.
La mostra inizia subito con un chiaro riferimento all’opera di Fontana e ai suoi tagli. L’architettura di Gardella viene messa in relazione con l’opera di quei grandi artisti che si sono interessati del rapporto tra spazio e opera d’arte, tra luogo e rappresentazione artistica, tra i quali Larry Bell, Robert Irwin, Donald Judd, Lygia Clark e, appunto, Lucio Fontana. Le fotografie ai tagli che l’artista nato in Argentina aveva realizzato in occasione di Documenta 4 di Kassel appaiono luminose, quasi eteree: la fotografia diventa un ritratto del taglio che si fa sempre meno visibile, fino a fondersi con l’ambiente spaziale nel quale è inserito. Assieme ai tagli, la prima sala ospita anche una fotografia dedicata all’architetto Richard Neutra della serie Untitled (Strathmore Apartments), collocata alla fine della mostra, con le veneziane attraversate da una luce che “dilata lo spazio oltre la parete”. Nella seconda sala il tema dello scorrere del tempo e la simmetria fotografica della prima sala si ritrovano nella serie dedicata ai 100 Untitled Workds in Mill Alluminum di Judd esposti alla Chinati Foundation, in Texas. La sequenza fotografica mostra lo sguardo soggettivo dell’artista, la cui percezione dell’oggetto si fonde con lo spazio della sala, fino a diventare quasi un tutt’uno come nella sala inaugurale. Nella stessa sala appare la fotografia dell’opera della Clark, che in qualche modo introduce il tema del femminismo, seppur non esplicitamente citato dalla Lambri, che si limita a far dialogare le opere attraverso una grande carica emotiva presente nel suo modo di scattare.
Dal 1996 la Lambri inizia a fotografare interni di case vuoti, abitazioni private o edifici di grandi architetti (si vedranno nelle sale successive Casa Farnsworth di Mies Van De Rohe, il suo Padiglione di Barcellona, la Casa del fascio e tanti altri esempi). Questa concentrazione su dettagli “marginali” rende ancora più interessante l’operazione dell’artista: in un processo di decostruzione dello spazio, la Lambri arriva a focalizzare la propria attenzione su un unico elemento dell’edificio, in questo caso l’angolo tra due muri. Le fotografie sono scattate in diversi orari del giorno e introducono il tema della transitorietà della luce e dello scorrere del tempo, dunque della condizione umana. Non si tratta dunque di un rigido processo di rappresentazione geometrica, quanto piuttosto di un’operazione filosofica, di ricerca di una continuità tra spazio e tempo e di una relazione tra luce, ambiente e percezione personale. Il silenzio, l’immobilità e il vuoto diventano “il luogo in cui rifugiarsi in un microcosmo generato dall’incontro di piani”. Gli angoli delle sale del PAC sono stati lasciati vuoti proprio per attivare un dialogo visivo tra spettatore e opera, tra fotografie e spazio reale. La sala 4 è allestita più o meno allo stesso modo, con il concetto appena espresso messo in risalto da fotografie della stessa finestra con una luce crescente e sempre più intensa. Anche in questo caso, spazio e immagine fotografica si fondono e diventano un tutt’uno.
Il corridoio presenta quattro piccole immagini del Barcelona Pavilion, che la Lambri utilizza per “fare esperienza dello spazio sia un punto di vista storico e intellettuale, che in un modo intuitivo ed emozionale”. Anche in questo caso la soggettività dell’artista prende il controllo sull’operazione, che ritrae un’opera iconica in modalità diverse, con una luce mutevole e angolazioni che la mostrano da molteplici prospettive. Da questo momento inizia anche un dialogo con la vetrata che apre sul giardino del PAC, grazie all’allestimento sapientemente realizzato dai curatori. Vi è quindi la serie degli Strathmore Apartments di Richard Neutra a Los Angeles: in questo caso, la Lambri si concentra su un singolo dettaglio di una finestra, creando una composizione poetica a partire da un oggetto così comune. Essa diviene sempre più astratta, tanto che ad un certo punto non sembra più di trovarsi davanti ad una finestra semiaperta ma ad una composizione con una riga in uno spazio bianco. Ed è questa la magia dell’opera della Lambri, che da un oggetto semplice tira fuori tutte le potenzialità della luce e le mette in dialogo con la propria soggettività e con l’ambiente circostante. “Il mondo sbiadisce lentamente in una morbida astrazione geometrica”.
Il Parterre ospita invece una meravigliosa selezione di fotografie che evidenziano il processo creativo della Lambri e dei curatori: la serie Untitled (Sheats-Goldstein House), progettata sulle colline di Los Angeles nel 1963, è disposta in modo tale che le foto dialoghino con la parte esterna del PAC e con la grande vetrata che fa da contorno e che mette in relazione interno ed esterno. Le fotografie sono montate su lastre di vetro autoportanti, che appunto dialogano con la vetrata: l’allestimento è ispirato a quello di Lina Bo Bardi per il Museu de Arte de São Paulo e mira a rendere visibile ciò che non lo è abitualmente. Esso mette in contatto la natura del giardino oltre le vetrate del PAC con i soggetti ritratti dalla Lambri ed è la parte più suggestiva del percorso, dove immergersi all’interno della sua opera e dello spazio del padiglione. Le immagini “fluttuano” nello spazio e dialogano tra loro, in un continuo rapporto tra esterno e interno, visibile e invisibile, naturale e artificiale. Salendo la piccola scalinata che porta al piano superiore si incontra invece una sola opera, che ritrae la un vaso di fiori su una parete di vetro all’interno della Gropius House a Lincoln, in Massachussetts. Come riportato nella brochure della mostra, questa è l’unica immagine in bianco e nero che riceve il colore e la luce dall’architettura del PAC. Continua il gioco di dualismi.
La mostra termina con le opere esposte in balconata e in galleria. La serie fotografica della prima ritrae il dettaglio di una finestra della Casa Fernando Millàn costruita da Paulo Mendes da Rocha a San Paolo tra il 1970 e il 1974. Una finestra a ribalta socchiusa, dalla quale si intravedono foglie di filodendro che sembrano quasi voler entrare nello spazio della casa, è il soggetto protagonista della serie, che mette in evidenza i cambiamenti della luce e la relazione tra ambiente umano e naturale. Le variazioni di luce e inquadratura sono in questo caso minime e l’opera ha infatti bisogno di uno sguardo attento perché lo spettatore possa comprenderle. Nella galleria troviamo dettagli della Farnsworth House, della Casa del Fascio di Terragni e della Crown Hall, sede del College of Architecture presso l’Illinois Institute of Technology di Chicago.