Louise Bourgeois
Louise Bourgeois, Spider IV, 1996, bronzo, 203,2 x 180,3 x 53,3 cm, 2/6. Photo credits: Sotheby’s Hong Kong

Louise Bourgeois
Mostre memorabili e aste da record

Si è appena concluso un anno memorabile per Louise Bourgeois, coronato dall’incredibile risultato raggiunto da Spider IV – un esemplare della celebre serie di sculture-ragno – battuto in asta da Sotheby’s Hong Kong a 16,5 milioni di dollari.

Non è stato quel che si può definire un fulmine a ciel sereno per il mercato dell’artista che è in crescita già da diversi anni; eppure la cifra record rispecchia un appoggio forte anche da parte del – relativamente nuovo – collezionismo asiatico, bramoso di possedere alcune tra le opere più iconiche dell’artista francese. 

L’interesse nei confronti di Bourgeois, d’altra parte, non ha accennato a diminuire neanche dopo la sua morte avvenuta nel 2010, ma si è invece espanso, approfondendo anche parti meno note della sua produzione. Non è un caso infatti che l’asta record di Hong Kong si sia svolta proprio qualche mese prima della mostra The Woven Child a lei dedicata al Groupius Bau di Berlino e rientrata a pieno titolo tra i più importanti appuntamenti dell’anno appena concluso.

Quello che sorprende, però, è che l’esposizione abbia, almeno parzialmente, tralasciato i grandi Spiders, radunando e indagando opere realizzate durante l’ultima fase – meno nota, ma forse più interessante – della sua produzione. Un periodo, quello che va dalla fine degli anni Novanta fino alla sua morte, che l’ha vista impegnata nella creazione di opere, per così dire, “tessili”, sia per la modalità con cui sono state realizzate, sia per l’approccio con cui l’artista le ha concepite.

Negli ultimi anni di attività Bourgeois ha infatti ripreso, rielaborandolo alla luce della sua lunga ricerca artistica, il lavoro a cui tutta la sua famiglia si era dedicata: la riparazione di arazzi e tappeti. L’eterno ritorno che chiude il ciclo della sua produzione la riconduce, quindi, alle radici: all’azione attenta e capace della madre-ragno, dedita a rammendare strappi e ferite. È un’azione tipicamente femminile, quella della tessitura, che risale agli albori della civiltà e che manifesta la cura della donna per la salvaguardia della famiglia. Uno stereotipo che proprio in queste opere viene indagato, prima ancora che contestato, non solo attraverso un approccio atipico alla tecnica, ma anche mediante l’attenta scelta dei temi e dei soggetti.

Il tessile entra nelle opere di Bourgeois infatti in diversi gradi: in alcuni casi sono presentati interi capi di abbigliamento dalla forte carica emotiva per l’artista, che vengono esposti come spoglie, fantasmi del passato nella loro vuota interezza. Più spesso però è proprio Bourgeois a tessere le forme più consone o a cucire insieme diversi brandelli, senza preoccuparsi di nasconderne i punti di sutura. Già in questo atto si può scorgere la lontananza dal lavoro materno, il cui scopo era appunto di celare ciò che per Louise diviene licenza poetica, volta a esaltare la fragilità ed il disequilibrio dell’umano.

Sono spesso i corpi, infatti, l’oggetto della sua tessitura, che ci vengono presentati nella loro parzialità e difformità. Sono corpi-oggetto che vengono consegnati alla vista senza remore o pudicizia, intrecciati o appesi come dei brandelli di carne in macelleria. Non vi è però in questa presentazione tanto un’esaltazione della carnalità del corpo terreno, quanto più il desiderio esprimere l’insofferenza ed il desiderio di ribellarsi all’incasellamento e alla costrizione nelle gabbie di una società che ha bisogno di definizioni e canoni.

Louise Bourgeois
Louise Bourgeois: The Woven Child Veduta della mostra, Gropius Bau (2022) © The Easton Foundation/VG Bild-Kunst, Bonn 2022, Photo: Luca Girardini

A questo sembrano alludere in modo più chiaro le Cells, esposte in diverse dimensioni nel percorso espositivo, che consistono in vere e proprie gabbie metalliche che isolano il loro contenuto. Al loro interno sono spesso racchiusi dei vestiti e stoffe prefabbricati, che vengono scelti dall’artista e utilizzati come simboli delle convenzioni sociali e delle loro imposizioni, che sono la materia delle nostre “prigioni”. La relazione tra un dentro e un fuori, che queste opere esaltano, richiama anche il rapporto tra osservatore e osservato, soprattutto quando le Cells contengono non già tessuti o vestiti privi dei loro contenuti, ma le membra plasmate e intessute direttamente dall’artista. È proprio in queste situazioni, infatti, in cui diventa più difficile stabilire quale sia la nostra posizione di spettatori nella relazione “dentro-fuori”: non è più chiaro se appartenga a noi lo sguardo libero dalle sbarre o se la nostra sia la prigione entro cui osserviamo le creazioni complesse e articolate.   

Questi corpi, frazionati in parzialità vistosamente cucite tra loro, sono infatti rappresentazioni dell’essenza che sfugge all’univoca e uniforme rappresentazione e che deve essere per questo allontanata dalla società che rincorre la norma. Si tratta allo stesso tempo, però, di forme libere di esprimersi nella loro incoerenza, proprio grazie alla loro condizione di isolamento. Esattamente come Pierre, il fratello internato dell’artista, che viene scelto come modello di autentica libertà di espressione per molti dei suoi volti.

La vita personale s’intreccia così, nelle trame di Bourgeois, a riflessioni più ampie sulla condizione umana e sulle concessioni e rinunce necessarie alla vita in società. La sua condizione di figlia, donna, moglie e madre ricorre infatti in moltissime situazioni, già a partire dall’opera The Woven Child [Il bambino intessuto], che ha dato il titolo alla mostra e che racchiude esemplarmente il tema della tessitura come metafora della figura materna. È la madre creatrice e protettrice quella di cui parla Bourgeois, con le sue fragilità e i suoi limiti. Non solo: è un bellissimo omaggio all’incoerenza e alla difficoltà che caratterizzano la creazione e la formazione dell’identità. 

Bourgeois, proprio in queste frammentate creazioni, raggiunge il punto più alto della sua poetica: la consapevolezza della mutevole e poliedrica identità che caratterizza ogni individualità, che è una, nessuna e centomila.

È una mostra completa, ricca e chiarificatrice quella che è stata presentata a Berlino, eppure il mercato procede, com’è ben noto, con le sue regole e i suoi sistemi. E le incredibili aggiudicazioni degli Spiders, sembrano non tenere troppo conto della ricerca sull’artista che, anche nelle sue zone d’ombra, ha raggiunto il grande pubblico, ma viceversa testimoniare una riduzione al desiderio – troppo spesso maschile – di possesso dell’oggetto-simbolo, come è avvenuto per le zucche di Yayoi Kusama.

E così la produzione varia – così intima e universale – di Bourgeois trova la casella perfetta per le esigenze del collezionismo: una piccola indulgenza necessaria al funzionamento della macchina-mercato che, specchio della società a cui appartiene, ricerca il noto ed il riconoscibile, riducendo la complessità incoerente del reale a pure forme superficiali e spesso sganciate dal loro originario significato.

Louise Bourgeois
Louise Bourgeois: The Woven Child Veduta della mostra, Gropius Bau (2022) © The Easton Foundation/VG Bild-Kunst, Bonn 2022, Photo: Luca Girardini