La mosca, nella pittura rinascimentale e fiamminga, è vista male. È associata a Belzebù, il malefico signore delle mosche, quindi alla morte, alla caducità in genere. Tu, invece, le doni fattezze familiari.
La serie delle “Moschine” è dedicata alla diversità e alla relatività del bello. Le mosche, o gli insetti più in generale, sono la parte vivente più odiata in natura, la cui bellezza, fatta eccezione per le farfalle, non viene apprezzata dalla quasi totalità delle persone. Sono simbolo di morte, di sporco, di ingestibilità, sono qualcosa da eliminare, di cui avere paura, da cui difendersi e allontanarsi. Eppure, se ci si sofferma ad osservarle, le mosche hanno una loro piccola, discreta, rigida ed inappuntabile eleganza fatta di pochi colori, di armature adamantine, di neri cupi cangianti nel verde o nel bronzo. Osservare, cosa che non facciamo così spesso, prima di giudicare, capire prima di allontanare, indossare i panni degli altri prima di sentirsi eletti. Ho voluto portare questo pensiero alla luce, e il risultato è stato sorprendente. Sono opere eseguite con tecnica mista utilizzando come supporto antichi dagherrotipi. Volti serafici di anziani, di bambini paffuti, di eleganti signore di altri tempi, visi familiari che appartengono a tutti noi, forse nostre zie, nonne, o il babbo quando era piccolo, o la sorellina della mamma, chissà, vestono i panni di insetti comunemente fastidiosi, diventano ricordi in piccole livree austere, le ali leggere ripiegate in pose auliche. Una metamorfosi li trasforma in ritratti preziosi la cui vita è possibile immaginare, in qualche meta-verso. Le Moschine sono state odiate e amate moltissimo. Odiate da chi non ha occhi che per la bellezza canonica, amate da chi si sente attratto dal perturbante.
Un altro dei tuoi soggetti preferiti sono gli alberi: qui l’umanizzazione è meno esplicita, ma altrettanto forte; i tuoi alberi, come dice mio figlio, hanno un’anima come gli animali e potrebbero anche parlarci ma, vedendo come trattiamo il resto del creato, preferiscono non farsi notare…
Bruno Munari diceva che gli alberi sono l’esplosione lentissima di un seme. Che immagine meravigliosa! Siamo un poco anche noi così, no? Siamo l’esplosione lentissima di un seme che incontra una cellula uovo. In effetti l’anima degli alberi a me sembra di sentirla quando appoggio l’orecchio alla loro corteccia, e sì, lo dico con un certo imbarazzo, li abbraccio e li ringrazio ogni volta per essere tanto cresciuti, per aver resistito, per aver visto, ascoltato e dato riparo. Li abbraccio e li disegno, perché la loro architettura mi affascina, perché disegnarli è meditativo, e mi aiuta moltissimo nel processo creativo di altri progetti. Li disegno sui treni mentre viaggio, sugli aerei, nelle sale d’aspetto, nei momenti di pausa. Ho intere moleskine piene di alberi disegnati di ogni luogo visitato, o anche solo immaginati, sognati. Tuo figlio, nella sua meravigliosa fantasia visionaria e sopra le righe, ha dato una sua lettura geniale sulla motivazione del silenzio delle piante. Mi piacerebbe, un giorno, dirgli che le piante in realtà parlano, come sostiene Erwin Thoma ne “il linguaggio segreto degli alberi” e che lo fanno attraverso canali diversi, insospettabili, ma questo è un onore che spetta a te!
Sì, siamo parte di un mondo condiviso: Sconfinamenti categoriali, una serie in cui mescoli elementi disparati, dai tuberi, ai pesci, a singole parti del corpo umano, lo attesta in modo esplicito.
Mi piace giocare con la mia immaginazione, pensare a “come sarebbe il mondo se”, immaginare luoghi condivisi da creature abitualmente separate. Disegnare la natura è un modo per studiarla, per comprenderla, ma con “sconfinamenti categoriali” ho voluto sovvertire le regole, e sono, di fatto, una serie di divertissement realizzati a penna a china con un tratto che ricorda le incisioni delle Encyclopédie, più recentemente ho realizzato anche una serie chiamata “Animalìe”, dove ho voluto creare degli studi ad acquerello di animali ibridati con parti vegetali e parti anatomiche umane, dando origine a soggetti totalmente nuovi, li ho poi rinchiusi in barattoli di vetro, numerati e classificati secondo il metodo di Linneo. Il risultato è una pop wunderkammer davvero divertente!
(segue)