Paola Mancinelli, Rilegatura

Le immagini che sopravvivono

È stata inaugurata lo scorso 10 luglio la mostra con le opere recenti di Paola Mancinelli dal titolo Pura forma con limite nello spazio Area Domus di Martina Franca.
L’esposizione, che proseguirà fino al 30 settembre, è curata da Lorenzo Madaro del quale proponiamo qui il suo testo critico in catalogo.

La scrittura è un elemento primigenio di comunicazione che l’arte contemporanea ha saputo accogliere all’interno della sua compagine formale, estetica e concettuale, con sguardi e posizioni differenti, in grado di scardinare regole e avanzare nuove interpretazioni e nuovi sguardi. L’incontro tra la forma rigorosa dei caratteri tipografici e la fluida energia delle immagini ha spinto gli artisti a concepire opere in grado di esprimere riferimenti e concezioni plurali. Dai collage cubisti di Pablo Picasso fino all’utilizzo della scrittura nei Futuristi, per giungere a Marcel Duchamp e, naturalmente, alle sistematiche riflessioni avviate negli anni Sessanta e Settanta dai gruppi d’avanguardia che grazie a personalità come Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini e molti altri hanno saputo percorrere una ricerca in grado di accogliere al contempo messaggio sociale, esperienza verbo-visiva, indagine politica e affondo costante nell’universo di un immaginario estremamente denso. Oggi che la comunicazione ha preso altre strade, rotocalchi e quotidiani sono stati quasi totalmente soppiantati dal web, chi come Paola Mancinelli recupera parte di questo immaginario, struttura un’operazione di resistenza e di ripensamento di determinate pratiche. 

Il progetto espositivo Pura forma con limite, frutto di una lunga genesi, mette in campo collage, installazioni, assemblaggi e tecniche miste in cui Paola Mancinelli ha investigato in maniera rigorosa due grandi ambiti che le appartengono da tempo: l’immagine (e le sue trasfigurazioni) e naturalmente la scrittura, attraverso un lavoro lento e approfondito sulle relazioni che li uniscono, ma anche sulle distopie che li caratterizzano nell’orbita di un rapporto simbiotico e quindi convulso. 

Paola Mancinelli difatti è una viaggiatrice nel mondo dei caratteri tipografici, dei contenuti testuali e delle suggestioni che affiorano dalle fotografie rintracciate in lunghe e ossessive ricerche iconografiche. Lei è un’archeologa, osservatrice scrupolosa, capace non soltanto di leggere la singola immagine, ma di associarla ad altre, in un lungo lavoro che è anzitutto meditativo. Esplora, quindi. Il suo sguardo seleziona, la sua mano associa, la mente preventivamente fa combaciare immagini apparentemente lontanissime. Il suo è infatti un “Atlante” delle immagini, in cui non vi è nulla di warburgiano, ma piuttosto un approccio sentimentale alle cose. Niente di romantico, attenzione; bensì di empatico, perché Paola Mancinelli procede attraverso un processo concettuale di appropriazione e spesso di una conseguente metamorfosi delle riproduzioni che sceglie. E talvolta questa sorta capita anche ai dettagli di opere di artisti da lei osservati e studiati: da Giulio Paolini a Helmut Newton, da Francesca Woodman a Ettore Spalletti. Non si tratta di un ready-made, ma di un processo di consapevolezza capace di mescolare immaginari – compresi quelli della letteratura e del cinema, naturalmente – in un unico flusso che costituisce nuove immagini, nuove interpretazioni e soprattutto nuovi sensi. Come una archeologa delle immagini, entra così in relazione con differenti visioni, individuando peculiarità essenziali in un’anatomia, in uno sguardo, in un dettaglio: affiora così una geografia di spazi aperti della visione, tutta da investigare anche grazie alle didascalie redatte dalla stessa artista, parte integrante del display della mostra: informano, ma soprattutto ci aiutano a entrare con ancor più consapevolezza nella struttura delle singole opere. Ma la didascalia, a ben guardare, è anzitutto scrittura, e quindi dialogo, trasmissione di un sapere, fonte di messaggi da leggere e decifrare.

Chiude il percorso un’opera concepita su carta da pacco dall’alto tasso tautologico, si chiama Paper, che è la parola dipinta sul fronte con un carattere tipografico essenziale. Saluta idealmente lo spettatore riconducendo la riflessione suggerita dalla mostra al suo grado zero: la scrittura esplicita così, definitivamente, il pensiero che è alla base di tutta la ricerca di Paola Mancinelli, ovvero la comunicazione. E comprendiamo così quanto il lavoro di Mancinelli sia, anzitutto, parola, grado zero di un desiderio di relazione con ciò che è altro rispetto a lei, ovvero con noi suoi spettatori.

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