È il 3 febbraio 2025 e in una nota del Gruppo Apollo – che rappresenta l’industria dell’arte in Italia e riunisce le principali case d’asta, antiquari, gallerie di arte moderna e contemporanea, collezionisti e imprese della logistica – si legge: «Esprimiamo forte disappunto, per non dire sconcerto, per la mancata riduzione delle aliquote IVA sulle importazioni e le transazioni relative alle opere d’arte. Per il nostro settore questo è il colpo di grazia». La nota che viene diffusa è in merito al mancato intervento normativo previsto dal Governo nel Dl Cultura (DL 201/2024) e prosegue sottolineando che: «Di fatto l’Italia uscirà dal mercato internazionale, perché non le sarà più concesso competere con i paesi europei. Oggi l’IVA ordinaria è al 22% a fronte di regimi fiscali estremamente più competitivi, come quello tedesco o francese, che hanno abbassato strategicamente e in maniera tempestiva le aliquote al 7 e al 5,5%, cogliendo l’opportunità consentita dalla direttiva (UE) 2022/542. L’effetto a cui assistiamo è il trasferimento di moltissime attività verso Paesi con regimi fiscali oggi molto più convenienti. Non possiamo ignorare le conseguenze che questo mancato allineamento produce su tutta la filiera dell’arte: artisti, accademie e centri di formazione, restauratori, artigiani, e il fondamentale comparto delle fiere». La mancata applicazione nel Dl Cultura dell’aliquota IVA agevolata sulle vendite di opere d’arte, di conseguenza, ha visto subito collezionisti e operatori del settore uniti in una unanime contestazione, fornendo lo spunto per sviluppare alcune riflessioni sulla relazione tra Governo e mondo del mercato dell’arte in Italia, sulla penalizzazione delle gallerie italiane sulla scena internazionale, sulla questione della deducibilità per le Collezioni Corporate italiane.
La prima interlocutrice cui ci siamo rivolti è Ilaria Bonacossa, Direttrice di Palazzo Ducale, Genova, dal 2017 al 2021 è stata Direttrice di Artissima, l’Internazionale d’arte Contemporanea di Torino. La prima domanda sul caso italiano della mancata riduzione IVA è stata perché non è così immediato che si possano mettere in relazione Governo ed il mondo del mercato dell’arte nel nostro paese? «Temo che il problema sia legato alla percezione dell’arte come un bene di lusso, da ricchi, mentre invece l’arte è legata ad una filiera produttiva ed a molti posti di lavoro. Il mercato dell’arte è parte centrale di questa filiera e l’aver perso competitività nei confronti di paesi come Francia o Germania, verso cui non vi sono dogane, è una contraddizione che porta a fare dell’Italia una periferia nella scena della produzione culturale. Ma quale politico si farà portavoce delle esigenze di una filiera percepita come esclusiva?». Ma per quali motivi per l’Italia è particolarmente importante anche la riduzione delle aliquote IVA sulle importazioni, le esportazioni, relative alle opere d’arte? «L’Italia è il paese degli antiquari, di mercati e dei galleristi, già i vincoli della sovrintendenza spesso sono molto restrittivi sulle esportazioni, il che ha portato, assieme a questa IVA proibitiva, le aziende internazionali a chiudere le sedi italiane. La conseguenza è che in questo modo il mercato diventa chiuso e finisce per implodere. Inoltre questo sistema punisce la piccola-media impresa attiva nel mercato dell’arte e porta i player più muscolosi e ricchi ad aprire all’estero e ad operare fiscalmente da lì in piena legalità. Credo che se questa situazione perdurerà, l’Italia rischierà di diventare un parco archeologico a cielo aperto dove la cultura contemporanea soffocherà». Secondo Lei perché la politica non incoraggia il mercato dell’arte? «Forse manca anche la conoscenza e la forza della lobby di un sistema che ad oggi ancora non è stato capace da aggregarsi e schierarsi compatto».
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, collezionista, e Presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che dal 1995 sostiene i giovani artisti italiani e stranieri, con una particolare attenzione alla committenza e produzione di nuove opere, promuovendo l’arte contemporanea con l’obiettivo di avvicinare ad essa un pubblico sempre più ampio, ribadisce la complessità del rapporto che l’Italia ha con il mercato dell’arte e la mancanza di consapevolezza del valore che questo settore può generare sia dal punto di vista culturale che economico: «L’arte è ancora percepita come un ambito elitario, un lusso per pochi, e non come un asset strategico che potrebbe contribuire alla crescita del paese. Ma il mercato dell’arte non è solo quello delle grandi aste e delle vendite milionarie: è fatto di gallerie, artisti, professionisti, fiere, istituzioni, collezionisti, tutti parte di un ecosistema che genera valore e lavoro. L’auspicio è che si inizi a considerare l’arte per quello che realmente è, ovvero un patrimonio collettivo e un motore di sviluppo per il nostro Paese». Quali saranno le conseguenze nel breve-medio-lungo periodo di questa miopia? «Il sistema dell’arte contemporanea in Italia sconta ancora una serie di difficoltà strutturali che ne limitano la competitività rispetto ad altri contesti internazionali. L’abbassamento dell’aliquota IVA sulle opere d’arte rappresenterebbe un passo concreto e strategico per rendere il nostro mercato più attrattivo per i collezionisti e più competitivo per le gallerie italiane che oggi si trovano senza dubbio in una condizione di svantaggio rispetto a quelle europee. I numeri parlano chiaro, in Italia l’aliquota IVA è del 22%; in Germania del 7%, in Francia del 5,5%. Il dialogo tra Governo e operatori del settore è fondamentale affinché le politiche fiscali tengano conto delle specificità del mercato dell’arte, che non può essere regolato con gli stessi criteri di altri settori commerciali. È necessario un riconoscimento dell’arte come valore culturale e non solo economico. L’Italia ha un patrimonio artistico straordinario e un ruolo storico nell’arte ma rischia di perdere centralità sulla scena internazionale se non vengono adottate misure che rendano il nostro mercato più competitivo. Temo che, nel medio periodo, senza una revisione della fiscalità, assisteremo a una delocalizzazione degli operatori del settore. Le gallerie potrebbero stabilire le loro attività in paesi con un regime fiscale più vantaggioso, privando l’Italia di un indotto economico e culturale fondamentale. Anche le istituzioni museali potrebbero risentirne, con meno opportunità di acquisire opere e sostenere la produzione artistica contemporanea. Nel lungo periodo, il rischio è che l’Italia perda il suo ruolo nel mercato globale dell’arte, restando ai margini di un sistema che, invece, in altri paesi è riconosciuto e valorizzato come risorsa strategico. Questo comporterebbe una progressiva erosione del tessuto artistico e culturale, con una riduzione degli investimenti, delle opportunità per i giovani artisti e della capacità di attrarre talenti internazionali. Inoltre, la riduzione delle aliquote IVA sulle importazioni ed esportazioni di opere d’arte è un tema fondamentale per l’Italia, perché incide direttamente sulla competitività del nostro mercato nel contesto globale. Rispetto ad altri Paesi europei, che spesso applicano aliquote ridotte o addirittura esenzioni, l’Italia risulta penalizzata, con il rischio di perdere investimenti e opportunità. Per gli artisti, meno tasse sulle transazioni internazionali significherebbero una maggiore valorizzazione del loro lavoro e una maggiore possibilità di affermarsi sui mercati esteri. Le gallerie, d’altro canto, potrebbero operare con più agilità, senza essere penalizzate da una tassazione poco competitiva. Un altro aspetto cruciale riguarda il collezionismo e il mecenatismo, che in Italia hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nel sostenere l’arte e gli artisti. Un’aliquota più bassa stimolerebbe gli acquisti e questo avrebbe un impatto positivo non solo sul mercato, ma anche sul panorama culturale nazionale, arricchendo mostre, musei e istituzioni con una maggiore disponibilità di opere. Alla fine, si tratta di una scelta che non riguarda solo l’economia, ma anche la cultura».
Katia Da Ros, collezionista, già vicepresidente nazionale di Confindustria con delega a ambiente, sostenibilità e cultura, richiama l’attenzione sull’interazione delle imprese con gli artisti e sull’importanza del termine «deducibilità» per le imprese che investono in arte contemporanea. «In Italia, c’è una alleanza sempre più forte e solida tra arte e impresa. Lo abbiamo raccontato con il progetto ed il libro «Il segno dell’arte nelle imprese. Le collezioni corporate italiane per l’arte moderna e contemporanea». Volume ideato da Confindustria e dal suo Gruppo Tecnico Cultura, edito da Marsilio Arte con il patrocinio del Ministero della Cultura, curato da Ilaria Bonacossa insieme all’advisory board composto da Marianna Agliottone, Costantino D’Orazio e Marilena Pirrelli. «Sono molte le imprese che investono in arte e che sostengono gli artisti, consapevoli che l’arte contemporanea è un potente strumento di branding e di posizionamento, ma anche di creatività e di sviluppo. Il mercato dell’arte è un mercato importante, anche per il lavoro e il fatturato che genera. È un settore vivace, anche in Italia, che si confronta con altri importanti mercati stranieri. Proprio per questo è indispensabile mantenere alta la nostra competitività.
Se ne sta parlando molto in questi ultimi mesi, a fronte di politiche fiscali particolarmente vantaggiose dei nostri vicini, come la Francia e la Germania. Possiamo continuare ad essere rilevanti sui mercati internazionali solo se la nostra imposta sul valore aggiunto (IVA) viene allineata o migliorata rispetto a quella della Francia, che oggi è al 5.5%, la più vantaggiosa in Europa. Un altro passo importante potrebbe essere fatto nei confronti delle imprese che investono in arte contemporanea, permettendo che le opere siano deducibili in un certo periodo di tempo, proprio così come avviene in Francia. L’arte e la cultura sono identitarie di un Paese, un mezzo straordinario per raccontarlo e promuoverlo. Il legislatore dovrebbe promuovere il suo sviluppo in tutti i modi possibili. Qui ne abbiamo evidenziato due, e auspichiamo che la nostra richiesta non continui a cadere nel vuoto».