Angelo Cruciani, Palermo, Rosalia Rosa Mia

L’arte di curare: Stefania Morici

Ricordate Adelante! Adelante! di Francesco De Gregori: “Passa correndo lungo la statale / Un autotreno carico di sale / Da Torino a Palermo / Dal cielo all’inferno / Dall’Olimpico al Quirinale / Da Torino a Palermo / Dal futuro al moderno / Dalle fabbriche alle lampare”? Bene. Sostituite Milano con Torino e avrete le coordinate perfette – con tanto di treno veloce, che nel mondo dell’arte esiste realmente, tra il Nord e il Sud Italia – del lavoro di Stefania Morici. Art producer, curatrice e consulente creativa, Stefania vive infatti tra Palermo, dove e nata, e Milano, dove si è formata, lavorando presso fiere, enti pubblici, musei e gallerie. Abbiamo discusso con lei di organizzazione, curatela e produzione di eventi complessi in contesti differenti. A cominciare dai suoi.

Per prima cosa, i “titoli”: ti ho presentato come art producer, curatrice e consulente creativa. Ti ritrovi in questa definizione?

Sì, nel mondo dell’arte la mia è una figura professionale molto particolare. Mi muovo in diverse direzioni: dalla produzione e cura del concept, alla scelta degli artisti, alle relazioni istituzionali, alla ricerca degli spazi espositivi, al coinvolgimento di partner istituzionali o privati, alla richiesta dei patrocini, all’exhibition design, all’individuazione di aziende in grado di realizzare gli allestimenti o opere 3D con nuovi materiali o tecnologie, alla comunicazione visiva, alla promozione, all’organizzazione del vernissage… In pratica sono in grado di realizzare un evento “chiavi in mano”, dalla A alla Z. Spesso mi occupo di un progetto nella sua interezza e, oltre a supervisionarlo, faccio in modo che tutte le direttive vengano eseguite: dai contenuti artistici agli aspetti organizzativi, finanziari e burocratici. Un grande lavoro di “orchestrazione”.

Il tuo lavoro corre, effettivamente, su un confine: da un lato riguarda l’ideazione, dall’altro l’attuazione materiale. E tra il dire e il fare, come dice il proverbio…

Spesso gli artisti vengono da me soltanto con delle idee, in molti casi ancora non “chiarissime”, o degli schizzi su un foglio che io trasformo in realtà. Il mio è un lavoro complesso che richiede non solo tanta preparazione ed esperienza ma soprattutto audacia, creatività e talento. Bisogna avere “visioni” artistiche, un sentire diverso, qualcosa che ti spinge oltre. Marinetti diceva “Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alla stelle!”: ecco, bisogna essere un po’ questo. Chi si occupa di arte e cultura deve saper aprire orizzonti inesplorati ed essere in grado di affrontare ogni tipo di sfida.

Gli ultimi due anni sono stati una sfida per tutti: la pandemia ha agito da filtro naturale, stroncando sul nascere una miriade di eventi. Tu come la hai vissuta?

Io non mi sono mai fermata. Credo di essere stata una delle poche in Italia ad aver realizzato in pieno lockdown dei progetti artistici. E ti assicuro, altro che sfide! È stato un momento letteralmente folle, in cui nessuno credeva più a niente e soprattutto nessuno voleva più investire nell’arte. Si parlava solo di Covid e tutti vivevamo imprigionati nelle nostre case: terrorizzati, paralizzati e senza più alcun contatto umano. Tutto quello che stavamo vivendo mi sembrava incredibile, ma restare a guardare non era un’opzione. Avevo sempre in mente una frase che campeggia, a Palermo, sulla facciata del Teatro Massimo, tra colonne giganti e leoni ruggenti: “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparare l’avvenire”. È proprio nei periodi più bui e paurosi della storia, come quello che stiamo attraversando, segnato dalla pandemia, o dalla guerra in Ucraina, che l’arte e la cultura devono guidarci e ricordarci la nostra origine comune: siamo un popolo, e solo rimanendo uniti e “creando” bellezza possiamo sperare in un futuro migliore.

Come suggerisce John Donne, non ha senso chiedersi “per chi suona la campana”: essa suona per noi!

Esatto. Perciò ho sfidato il Covid realizzando a Milano un grande murales dedicato a sant’Ambrogio, il patrono della città. Un progetto portato a compimento grazie al supporto del Comune di Milano e di Show Bees di Gianmario Longoni, che ha creduto subito nel valore dell’iniziativa, e poi naturalmente grazie anche al contributo dei partner privati che ci hanno permesso di realizzarlo. Ma è stata davvero un’impresa!

Sempre durante la “zona rossa”, giusto per restare in tema di “campane”, ho prodotto la “Campana di Sant’Ambrogio”, un altro grande progetto urbano di “comunicazione positiva” in ventuno piazze di Milano.

A Palermo, invece, durante la pandemia, ho prodotto Rosalia, Rosa Mia, una grande installazione artistica di Angelo Cruciani dentro il sagrato della Cattedrale, con migliaia di cuori di carta, a formare una gigantesca rosa, simbolo dalla santa.

Cosa chiederesti, per rilanciare il settore, al Governo in carica e al neo Ministro della Cultura?

Più aiuti e sostegni a realtà come la mia. Per esempio la possibilità di ricevere contributi economici da parte di istituzioni pubbliche o private (amministrazioni pubbliche ed organizzazioni comunitarie e internazionali, Fondazioni Bancarie, Fondazioni di Comunità, Enti filantropici, etc.) che attualmente possono erogare contributi soltanto ad organizzazioni no profit. Cosa secondo me davvero insensata, anche perché sappiamo tutti che molte di queste associazioni “no profit” sono tutto tranne che no profit! Credo sia giusto e doveroso aiutare chi svolge un lavoro come il mio, diventato molto più difficile dal Covid in poi. E poi chiederei di promuovere l’arte e le iniziative culturali tra i giovani, creando più occasioni di incontro e di “esperienza diretta” nelle scuole, nei luoghi d’arte e nei musei.

Il biglietto “maggiorato” di cui parla Sangiuliano non va proprio in questa direzione…

Potrebbe, se i soldi dei turisti venissero usati per trasformare i musei in case dell’arte e della cultura per i giovani, da cui dipende l’Italia di domani. Ma non sono d’accordo sul biglietto “maggiorato”, per me addirittura alcune categorie non dovrebbero pagare il biglietto.

Quali dovrebbero essere, a tuo avviso, i principi guida del perfetto curatore?

Deve essere, in primo luogo, un visionario, infiammato dal desiderio di diffondere ciò in cui crede. Deve saper capovolgere i punti di vista, creare “scosse emotive” in grado di regalare bellezza, confronto, crescita umana e sociale.

Una specie di apostolo.

Una specie di “tramite”. Il confronto con il pubblico è fondamentale. Molti curatori sono dei bravissimi professionisti, ma non escono dal loro ruolo. Tecnicamente e scientificamente perfetti, non sanno proprio affrancarsi dalla tradizione, dai modi comuni e dominanti, dal mainstream a tutti i costi, quando invece dovrebbero percorrere strade parallele, o praticare nuovi e più intimi linguaggi, capaci di interagire veramente con il messaggio degli artisti, con ciò che essi vogliono trasmettere attraverso le loro opere.

Stai descrivendo un curatore artista, o un artista curatore.

Io in molti casi ho fatto a tutti gli effetti da “stimolatore” di idee. Hai presente l’albero di luce di Antonio Barrese che abbiamo esposto a Piazza Castello, nel cuore di Milano?

Sì. Un’istallazione monumentale, alta parecchie decine di metri.

Bene, l’idea di Antonio era solo di realizzare un pendolo “piatto” che oscillasse creando un cono di luce. Grazie al mio entusiasmo e ai miei “stimoli”, al mio lavoro, invece, è diventato un’installazione tridimensionale alta trentatré metri. Lo stesso vale per alcuni progetti di Nanda Vigo, o per la mostra di Max Papeschi Extincionche si è da poco inaugurata alla Fondazione Stelline di Milano. Quando Max mi ha presentato il suo progetto, non si parlava ancora di sculture. Sebbene realizzare delle statue fosse un suo desiderio di vecchia data, l’idea delle sculture è stata lanciata e alimentata da me, che ho messo subito in moto delle aziende per lo studio e la modellazione dei 3D delle sue opere. Per me i sogni degli artisti sono visioni da afferrare e trasformare in realtà; occhi con cui guardare, e far guardare, il mondo in maniera differente.

C’è un curatore-produttore modello, cui ti ispiri?

Io devo tutto a Vittorio Sgarbi. L’incontro con lui è stato una rivoluzione. Lo stare vicino a Vittorio mi ha permesso di apprendere “sul campo” i meccanismi di una realtà complessa e sfaccettata. Vederlo curare nei dettagli, in maniera maniacale, ogni singolo aspetto di una mostra, ha intensificato le mie capacità, rendendomi più vigile, concentrata, reattiva.

Altri “maestri”?

L’elenco è lungo, e non mi piace far torto a nessuno. Per la produzione di mostre, invece, in Italia i miei esempi sono Skira, 24Ore Cultura, Electa, Arthemisia, o la Fondazione Prada e l’Hangar Bicocca, che sfidano il potere istituzionale con mostre dal valore museale.

Vedi di buon occhio le mostre co-curate?

Si. Sono uno stimolo. Mi è capitato di co-curare diverse mostre o iniziative artistiche. Trovo molto interessante e utile unire punti di vista ed esperienza diverse.

Quest’estate a Palermo hai realizzato con Angelo Cruciani, creativo che spazia tra arte e moda – il suo brand Yazael veste tra gli altri i Maneskin, Ghali, Elodie – un’installazione di 5000 lumini: Rosalia, e luce sia! Ci racconti come è andata?

Con Angelo c’è un rapporto speciale. È come se procedessimo sempre nella stessa direzione. Ci capiamo subito e ci fidiamo l’uno dell’altra. Rosalia, e luce sia! è, in un certo senso, il sequel di Rosalia, Rosa Mia, l’installazione realizzata durante il Covid cui ti accennavo: un progetto meraviglioso, per cui abbiamo persino ricevuto una benedizione speciale di Papa Francesco, che tuttavia nel 2020, a causa delle restrizioni, si è svolto senza la presenza del pubblico. Per cui ci sembrava giusto “tornare alla vita”, riaccendere il lume della speranza, con un progetto che “unisse” i cuori di tutti. Da qui l’idea di trasformare la rosa in una installazione “pulsante”, luminosa che, per via dei ceri accesi dalle migliaia di persone che si univano a noi, è diventata una catena umana, una festa di popolo, un evento corale. È stata, senza dubbio, una delle azioni “artistiche” più emozionanti della mia vita.

Cosa consiglieresti a un giovane che intenda seguire le tue orme? Quali competenze sono, a tuo avviso, indispensabili per svolgere la professione di art producer, consulente creativo e curatore?

Lo studio e l’esperienza sono sicuramente importanti. Io però sono un po’ atipica, preferisco chi sa uscire dagli schemi, chi sa mettersi dalla parte del pubblico, e ragionare con la propria mente. Credo che per fare questo lavoro occorra una sensibilità particolare. Avere un “occhio” speciale e molto estro, talento e intuito, oltre che determinazione e coraggio. Se non possiedi tutto questo, inutile studiare. Rischi solo di perderti in un mare magnum di professionisti tutti “identici”, o nella mediocrità più assoluta. Comunque consiglierei di iniziare dalla pratica, dalla strada. 

Bisogna imparare a “sporcarsi le mani”. Avere la possibilità di assistere all’organizzazione di grandi mostre dall’interno (e quindi lavorare per musei, centri culturali, fondazioni, gallerie) può senza dubbio innescare più facilmente i meccanismi giusti per diventare un buon curatore o un bravo organizzatore di eventi culturali e artistici. Ma sia che si voglia diventare curatori istituzionali, sia che si voglia diventare curatori free lance, solo il tirocinio presso una realtà consolidata è in grado di fare, realmente, la differenza.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?

La mostra Extincion Chapter 1 di Max Papeschi, che ho curato e prodotto, è un vero e proprio kolossal, con tanto di musica, sculture, Intelligenza artificiale. Ci ho lavorato per più di tre anni. L’esposizione presso le Stelline di Miliano finirà il 19 febbraio 2023. Seguiranno altre tappe in tutta Italia, cui stiamo lavorando, e i successivi capitoli del concept.

×