“La traccia di un gesto”. Così Alain, il filosofo francese, definisce il disegno nella sua forma originaria. Nel titolo della sua ultima mostra, la traccia si fa ombra (L’ombra di un gesto): segno mutevole, effimero, in cui il gesto scompare.
Il titolo in realtà non l’ho scelto io ma Antonio Vitale, il curatore della mostra. Credo si sia ispirato alle mie opere su supporti trasparenti.
Perché, in quelle opere, ha abbandonato la tela?
In quel caso la scelta è nata da una discussione avvenuta ormai decenni fa con Filiberto Menna, che ebbe a dirmi: “mi piacerebbe vedere una pittura dipinta sul nulla”. All’epoca dipingere sul nulla non era possibile, ma sulla plastica sì. Del resto, ho sempre cercato di lasciare nei miei lavori l’impronta del tempo anche attraverso l’uso di materiali non tradizionali. Montati su telai ingombranti, di circa tre centimetri di spessore, e opportunamente illuminati, i miei fogli di plastica dipinta proiettano sul muro retrostante una mutevole ombra, che fa parte dell’opera, determinata dalle zone ricoperte dal colore.
La sua pittura è dunque il corpo frapposto alla luce. Con la sua pesantezza e realtà.
Esattamente. Se in una mostra vi sono più luci, ognuna lascia un’ombra differente. Le ombre moltiplicate si rincorrono. A volte collaborano tra loro.
Questo commercio con l’ombra ricorda da vicino la poesia. In alcuni suoi dipinti le pennellate si alternano a grafemi. Ma sempre con un intento poetico, o al massimo aforistico. Lasciando a chi li guarda la più grande libertà.
La stessa libertà di cui mi avvalgo nello scegliere i titoli, sovente stranianti. Chi si confronta con l’opera deve provare a farla sua.
Mi spiego meglio. Questo procedimento per associazioni, per illuminazioni improvvise è tipico della lirica, non della narrativa, che predilige al contrario le costruzioni complesse, le sequenze. A me invece pare che, sebbene raccolte in serie, le sue opere si distinguano per la loro unicità: ognuna è un universo in sé concluso.
Non posso negarlo! La poesia e la pittura sono arti sorelle. Conosce bene il mio lavoro.
In realtà, sebbene lo frequenti da tempo, questa è la prima sua mostra che io riesca visitare.
È una mostra nutrita e copre un arco molto vasto. Mancano tuttavia testimoni importanti come i miei studi sullo spettro solare o sulle icone bizantine.
Il tempo è così breve che un pittore dovrebbe solo dipingere. Lei invece ha organizzato per tanti anni, alle Terme di Acireale, una Rassegna internazionale d’arte che ha visto nascere, tra le altre cose, la Transavanguardia. Che cosa ricorda di quell’esperienza?
Della rassegna o della Transavanguardia?
Se vuole parliamo di entrambe!
Della rassegna ho ricordi bellissimi. Essa nacque dalla mia esigenza di creare ad Acireale, la città dove sono nato, uno strumento per avvicinare la gente all’arte, e viceversa. L’ho diretta per diciotto anni consecutivi sinché Bonito Oliva non si mise in mezzo tra me e il presidente, scavalcandomi. Mi sentii esautorato e abbandonai la rassegna, che dopo appena due anni dal mio addio chiuse i battenti.
Come è cambiato, da allora, il mondo dell’arte?
Oggi tutti fanno arte, ma non è l’arte con la A maiuscola.
Non le sembra di esagerare?
Su questo non ho dubbi. Oggi che quasi non ci vedo, mi dedico più intensamente alla scrittura: dichiarazioni di poetica, certo. Ma pure appunti sul contemporaneo. Mi viene in mente, ad esempio, presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma, un quadro enorme di un esponente della Transavanguardia raffigurante un escremento umano – per farla breve, uno stronzo – che l’autore ha avuto la tracotanza di battezzare “Roma”.
La provocazione non è poi nuovissima.
Sia come sia, il mio libro si intitolerà così: Dalla merda d’artista all’artista di merda.
Cose dell’altro mondo. Per questo la maggior parte delle sue mostre si è svolta all’estero piuttosto che in Italia! [ride]
No, non me ne sono andato in un moto di disgusto. Tutto il mondo è paese. Per me viaggiare è un’esigenza esistenziale. Quando mi recai in Russia a studiare le icone, volli visitare tutte e sei le scuole in cui si producevano.
Una non bastava.
Girare il mondo mi piace. Purtroppo da qualche tempo a questa parte spostarmi è diventato più difficile.
Tornando al suo lavoro, gli ultimi quadri presentano soluzioni innovative.
Se si riferisce alle opere i cui titoli fanno riferimento a poesie di grandi autori, ho adottato un procedimento, se così si può dire, a caldo-freddo. Faccio un primo strato a caldo, mescolando i colori; successivamente cerco prospettive nuove nella composizione e nell’alternanza delle tinte.
Devo assolutamente venire a trovarla a Roma, nel suo studio.
Ne sarò felicissimo. Potrà visitare la casa di un artista.
Certo!
Cos’ha capito [ride]. Abito la casa che fu di Pirandello.


