È davvero possibile raccontare la storia di uno dei musei più importanti d’Italia attraverso una fusione di arte, scienza e storia?
La mostra La Grande Brera a Palazzo Citterio, inaugurata lo scorso 7 dicembre 2024, sembra voler rispondere a questa domanda. Ma, a pochi giorni dalla sua apertura, sorge un dubbio: ambizioni nobili, ma la realtà è davvero all’altezza? Nonostante la qualità delle opere esposte e l’impegno curatoriale, l’allestimento solleva più dubbi che certezze. Il progetto, avviato negli anni ’70 da Franco Russoli, è stato ripreso dal nuovo direttore della Pinacoteca, Angelo Crespi, con l’intento di rinnovarlo e raccontare la storia del museo attraverso una pluralità di prospettive. L’apertura di Palazzo Citterio, che ospita parte della collezione, punta a trasformare il modo in cui il pubblico fruisce delle opere, intrecciando questi aspetti in un unico percorso narrativo. Ma questa visione ambiziosa trova un’effettiva corrispondenza nel percorso espositivo?
Al secondo piano di Palazzo Citterio, la sezione La Grande Brera tenta di raccontare la storia della Pinacoteca da diversi punti di vista, ma l’allestimento appare caotico e poco chiaro. I pannelli, dedicati a figure come Fernanda Wittgens e ai luoghi della Pinacoteca, vogliono mettere in luce i legami tra persone e spazi che hanno fatto la storia del museo. Tuttavia, la disposizione a doppia fila e l’assenza di un filo narrativo preciso rendono il tutto difficile da seguire. Questo accostamento di immagini e testi, invece di aiutare, crea confusione e disorienta il visitatore. Come si può celebrare una storia così importante senza offrire al pubblico strumenti adeguati per comprenderla?
La stessa problematica si ripropone nella sezione La Grande Brera: una comunità di arte e scienza, che dovrebbe raccontare la storia del museo nel contesto scientifico e culturale che lo ha influenzato. Le fotografie di Ugo Mulas, pur di grande valore, non si integrano nel discorso, risultando dissonanti rispetto al resto dell’esposizione. Invece di arricchire la narrazione, interrompono il flusso e contribuiscono a una fruizione frammentata e poco coinvolgente.
L’intera sezione manca di una visione coerente che permetta al visitatore di entrare in sintonia con la storia del museo e di riflettere criticamente sui suoi legami con il contesto culturale e scientifico. La scelta di suddividere le opere della collezione presente a Palazzo Citterio per artista, pur rispettando una tradizione consolidata nel panorama museale, risulta banale e priva di originalità. Tra i dipinti esposti si trovano capolavori di Boccioni, Severini, De Pisis, Morandi e Pelizza da Volpedo, ma l’approccio adottato non riesce a valorizzare appieno la ricchezza di queste opere.
In una Pinacoteca come quella di Brera, che custodisce una collezione dal valore inestimabile, ci si sarebbe aspettato un allestimento più innovativo, capace di mettere in relazione opere di epoche diverse e stimolare riflessioni critiche sui dialoghi tra le varie correnti artistiche. Invece, l’esposizione statica delle opere di singoli artisti, distribuite nelle rispettive sale, non crea alcun collegamento tematico o visivo. Non rischia forse di ridurre la loro forza espressiva? Questo approccio non stimola la curiosità del pubblico e impedisce una riflessione sui contesti storici e culturali che hanno influenzato la produzione di questi artisti.
Anche l’illuminazione, che in una mostra di tale portata dovrebbe essere gestita con particolare attenzione, si rivela un punto debole. In alcune sale, l’intensità della luce è troppo forte, distorcendo i dettagli delle opere e annullando l’effetto visivo dei colori; in altre zone, invece, l’illuminazione è troppo scarsa, creando ombre che rendono difficile apprezzare i dettagli più minuti dei dipinti. Perché una gestione così incoerente di un aspetto essenziale?
Un ulteriore elemento critico riguarda la sezione dedicata a Mario Cerioli, che con la mostra Mario Cerioli: la forza di sognare ancora occupa un’intera area al piano -1. Qui, le opere sono esposte senza alcuna mediazione o contestualizzazione critica. Disposte in modo rigido, come in una vetrina, mancano di interazione con il pubblico o spiegazioni che ne esaltino il valore.
Franco Russoli, nel concepire il progetto di La Grande Brera, scrisse: “Un museo non è una collezione di oggetti, ma una comunità viva di uomini e idee, un laboratorio di cultura che non smette mai di raccontarsi.” Eppure, davanti a questa esposizione, è difficile non domandarsi: dov’è quella comunità viva che Russoli immaginava? Si è riusciti davvero a raccontare qualcosa di vitale, che dialoghi con il presente e con il pubblico?