Io sono verticale

Io sono verticale, la collettiva da Monitor Pereto ispirata alle parole della poetessa Sylvia Plat è vista in questo articolo dallo sguardo dell’artista Lorenzo Kamerlengo.

Nella molteplicità di motivazioni che possano portare alla scelta di un titolo, altrettante sono le funzioni che questo si trova a svolgere quando, piuttosto che sulla copertina di un libro, lo troviamo a presentarci una mostra. A volte il titolo rivela un comune denominatore tra le opere, può essere un’affermazione del curatore veicolata dalle stesse, altre un tema con cui gli artisti sono invitati al confronto. In ogni caso, quello della nuova mostra della galleria MONITOR inaugurata lo scorso 22 febbraio, presso la sede di Pereto in Abruzzo, è un titolo potentissimo. “Io sono verticale”, che nasce dalle parole della poetessa Sylvia Plat, è un’affermazione di esistenza eccezionale. Esistere non solo perché penso, non solo perché mi relaziono, non solo quando ricevo conferma di me dall’esterno, ma perché sono qualcosa che occupa uno spazio, un elemento tra vari elementi, perché ho una direzione, un orientamento e un posto nell’ordine (o nel disordine) della geometria cosmica.

IO SONO VERTICALE, 2020. Installation view at Monitor Pereto
Courtesy the artist and Monitor Rome, Lisbon, Pereto
Ph Giorgio Benni

Gli ambienti dello storico Palazzo Maccafani di Pereto, piuttosto articolati, hanno permesso quasi a ogni opera di avere un proprio spazio e una propria dimensione. Ciascuna di esse, affiancata da un testo critico e inedito di Arianna Pappagallo, Matteo Fato, Stefano Verri, Joao Silverio e Claudia Santeroni a raccontare l’arte di Lucia Cantò, Armanda Duarte, Oscar Giaconia, Nino Migliori, Elisa Montessori e Eliano Serafini, hanno coinvolto lo spettatore in una inconsueta atmosfera dove forme e parole si sono idealmente unite a formare un tutt’uno. Ci s’immerge così, nel lavoro di Elisa Montessori, il primo che incontriamo, composto di una serie di piccoli disegni organizzati come a formare un unico pannello di successioni fotografiche o lo spezzettamento di una grande immagine nelle sue parti più piccole. Avvicinandoci, in realtà, ci si accorge che ogni disegno è legato agli altri ma allo stesso tempo indipendente, evocando visioni satellitari di paesaggi periferici in costante vibrazione. C’è qualcosa in questo lavoro che tocca geografia, architettura, precisione e vibrazione, minuzia geometrica e matericità. Tutti insieme istantaneamente. Si gioca in tale modo il rimbalzare di sguardi, uno da una posizione sopraelevata (verticale?) l’altro vicinissimo.

Elisa Montessori, Senza titolo, 2019, 128 cartoncini A5, acrilico, inchiostro di china e lapis, dimensioni variabili. Installation view at Monitor Pereto

Accanto alla Montessori, scopriamo, se attenti, il piccolo e delicato “copiem de um personagem” di Armanda Duarte, un cuscino sottilissimo composto da sabbia (dell’esatto volume contenibile in una lattina) e pezzi di maglietta completamente invisibili dall’esterno. Un ritratto intimo, celato ed orizzontale che non lascia, tuttavia, indifferenti.

Armanda Duarte, Copla de um personagem, 2012, cuscino fatto di frammenti di maglietta da uomo usata e riempita di sabbia da spiaggia corrispondente al volume determinato da una lattina, dimensioni della testa dell’artista; Installation view at Monitor Pereto

Proseguendo entriamo nella stanza degli affreschi con tre opere di Oscar Giaconia, il quale evoca mondi futuristici, post-atomici, demoniaci e danteschi. Schivo ed ambiguo, il “paesaggio” di Giaconia ci confonde sul piano immaginativo, ma anche su quello della componente chimica della pittura. Tutto è come se marcisse brillantemente creando attrazione e repulsione.

Per terminare il primo piano entriamo nella stanza dedicata alle opere di Nino Migliori, dal titolo Tempo rallentato #9Tempo rallentato #10Tempo rallentato #14; immagini, più che fotografie, dove l’artista ci presenta delle nature morte immerse in olio e aceto per rallentare il processo di deperimento dei soggetti delle sue composizioni, verdure ed ortaggi. Un tentativo di decelerazione più che di conservazione (come l’artista dichiara nel titolo) che sposta il pensiero verso una riflessione sullo strumento fotografico. Non è anch’esso, infatti, un tentativo di rallentamento più che di conservazione?

Scendendo in seguito un piano sottoterra ci troviamo di fronte all’opera di Lucia Cantò. Qui vediamo due macchine da scrivere appoggiate a terra da cui partono diagonalmente dei rotoli di cotone verso gli spigoli della stanza, su cui lei trascrive conversazioni epistolari e monologhi. Dei due testi il primo è intimo, legato alla solitudine di un flusso di coscienza a metà tra la precisione analitica sulla parola e quello di coscienza, un autoritratto del pensiero davanti allo specchio. Il secondo è un dialogo tra due sconosciuti di cui perdiamo origine e fine. Quello che sicuramente accomuna le due macchine da scrivere nell’opera è il loro essere base di una spinta verso la verticalità della parola, un impennata delle lettere. Concetti ed emozioni che si convertono in componente fisico e spaziale.

Scendendo infine qualche altro gradino in profondità arriviamo nella stanza della cisterna o della cosiddetta prigione. Le pareti cambiano radicalmente trasportandoci in uno spazio cavernoso, dove incontriamo il lavoro di Eliano Serafini. Nonostante la rocciosità dell’ambiente, Serafini mantiene i toni soffusi, l’atmosfera è densa e delicata. Incontriamo un letto in polistirene color carne, scomposto e riassemblato, sia orizzontale che obliquo che verticale, con un pezzo della scultura-installazione che si appoggia al muro come un quello di una colonna o il font di una lettera ormai slacciata dalla struttura a cui apparteneva. Sembra un momento di riposo, di qualcosa che sta tentando di ricomporsi secondo un nuovo ordine. Le “parti” tentano una riconsiderazione del loro statuto indipendentemente dal tutto, indipendentemente a ciò cui appartengono. Si perdono le vecchie relazioni e ci viene suggerito la possibilità di considerarne di nuove. Potrebbe essere proprio il vero file-rouge dell’esposizione. “Io sono verticale” perché ho conferma di me dall’estero, ci sobillava Sylvia Plat. Quella conferma dall’esterno vive nell’opportunità di nuove relazione che, in quest’occasione, mette in circolo espressioni e linguaggi diversi dell’arte, osservazioni e sensibilità eterogenee in chi esperisce questo singolare percorso. 

Io sono verticale
Monitor Pereto

Palazzo Maccafini 5, Pereto, AQ
www.monitoronline.org
Fino al 10 aprile 2020

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