Parafrasando il titolo della mostra, mi accingo a fare una recensione sentimentale, una recensione da artista a artista. Io e Vitone siamo siamo dello stesso anno, della stessa generazione, una generazione travolta dalla dittatura del postmoderno chiamato in Italia dal sistema dell’arte Transavanguardia. Un’epoca orribile che ha visto sterminare la varietà culturale degli anni ‘60 e ‘70 in favore di una pittura retrograda, oafaloscopica e monocolturale. Il mondo dell’arte era un giardino rigoglioso e nel corso degli anni ‘80 è diventato un infinito sterminato campo di una sola specie di patata.
Come generazione, in molti abbiamo aggirato il ‘ritorno all’ordine’ cercando di sfuggire a quella brutta pittura, andando verso l’astrazione, la performance, la smaterializzazione, il concettuale, il Situazionismo, verso la ricerca e non già verso la moda. Noi siamo i superstiti, noi siamo i reduci, noi siamo gli scampati all’omologazione dell’arte neoliberista e dell’arte di Stato.
Smaterializzare non è una forma di iconoclastia ma è un ricercare le basi delle Avanguardie Storiche quando ‘astratto’ era sinonimo di ‘concreto’, quando presentare era antagonista a rappresentare, quando la carica ideale sociale e politica dell’opera d’arte era il cuore della produzione artistica, restando lontani da ogni intimismo lirico.
Riconoscere l’identità delle persone, dei luoghi va inteso come una forma Moderna di Umanesimo e non come nazionalismo o ristrettezza mentale, per tanto, ricordo con piacere che per anni, digitando in internet la parola Luca Vitone, usciva un sito che dava le coordinate geografiche, una geolocalizzazione ante litteram, proprio volta a dire chi è e
dove si colloca nel tempo e nello spazio.
Anche la doppia localizzazione della mostra sia a Villa Adriana che al Museo MAXXI di Roma, corrisponde a questo essere nel tempo, questo esser-ci, questo Dasein heideggeriano, ci fa attraversare il tempo e lo spazio. E come in altri casi, mi viene in mente il Grande Vetro di Duchamp, ma anche l’organo a mare nella città di Zara dell’architetto Nikola Bašić, o il monumento alla partigiana di Carlo Scarpa e Augusto Murer di fronte ai Giardini della Biennale di Venezia, o ancora Francis Alÿs con il suo parallelepipedo di ghiaccio, o David Hammons con le sue palle di neve, in questa linea, esporre alle intemperie delle tele per ricavarne pigmenti e infine dipinti, è una via per mostrarci il trascorrere del tempo ma anche per rendere visibile cose altrimenti impercettibili. Vitone in questa prassi sospende le distanze. Martin Heidegger il 6 Giugno
1950 tenne una conferenza memorabile presso l’Accademia di Belle Arti bavarese intitolata ‘La cosa’; La cosa inizia con queste parole: Tutte le distanze nel tempo e nello spazio si accorciano. Dove si poteva giungere, una volta, solo dopo settimane e mesi di viaggio, l’uomo arriva ora in una notte di volo. Notizie che una volta si ricevevano solo dopo anni, o che semplicemente restavano ignote, giungono oggi all’uomo in un attimo, di ora in ora, attraverso la radio. Il germinare e il crescere delle piante, che rimaneva nascosto lungo il corso delle stagioni, ci è ora presentato dal film nell’arco di un minuto.
Lontani centri delle civiltà più antiche ci sono mostrati dal film come se fossero cose presenti ora nel traffico delle nostre strade. Il film inoltre convalida ciò che presenta anche facendoci vedere, insieme, gli apparecchi di ripresa e le persone in atto di usarli. Il culmine dell’eliminazione di ogni possibilità di lontananza è raggiunto dalla televisione, che ben presto coprirà e dominerà tutta la complessa rete delle comunicazioni e degli scambi tra gli uomini. L’uomo compie i più lunghi percorsi nel tempo più breve. Egli si lascia alle spalle le più grandi distanze, e così pone davanti a sé le cose alla distanza più ravvicinata. Ma questa fretta di sopprimere ogni distanza non realizza una vicinanza; la vicinanza non consiste infatti nella ridotta misura della distanza. Ciò che, in termini di misure, è il meno distante da noi grazie all’immagine del film o alla voce della radio, può rimanerci lontano.
Una piccola distanza non è ancora una vicinanza. Una grande distanza non è ancora lontananza. Che cos’è la vicinanza, se rimane assente anche quando le distanze più grandi sono ridotte ai più piccoli intervalli?
I profondi interrogativi che Heidegger poneva profeticamente oramai sessanta anni fa trovano risposta a mio avviso nella capacità dell’arte e, in particolare nella poetica esposizione alle intemperie di queste tele. A Villa Adriana si trovano scritte e firme sugli intonaci di anonimi e famosi dei tempi del Grand Tour, e quando li guardiamo, quei segni ci fanno sentire la presenza di quegli uomini di un altro tempo.. Passare dal MAXXI a Villa Adriana, ci fa sentire presente la figura di Adriano, come ci avvicina al romanzo della Yourcenar.. Questa dislocazione ci fa attraversare con la mente il tempo e lo spazio e
riduce le distanze e diventa una vicinanza nel senso preconizzato da Heidegger. Allo stesso modo, le installazioni presentate, ci avvicinano a una Roma pasoliniana, all’invisibile lavoro degli archeologi, al paziente operare, la bussola davvero ci riconduce al luogo, il quinto sasso mancante ci avvicina al mito di Davide e Golia, sentiamo la vicinanza
a Piranesi, sentiamo che in fondo forse il tempo non esiste e che tutto è eterno, che lo spazio non esiste ma è solo contatto, nella immersione profonda nell’arte. Sono due mostre da non mancare.
Coccodrillo-Fontana risalente al II sec. d.C. ph Quirino Berti per VILLAE Coccodrillo-Fontana risalente al II sec. d.C. ph Quirino Berti per VILLAE Io e Luca Vitone, MAXXI, Installation view.ph giorgio benni Io e Luca Vitone, MAXXI, Installation view.ph giorgio benni Io e Luca Vitone, MAXXI, Installation view.ph giorgio benni
Io, Villa Adriana
Villa Adriana Tivoli
Museo MAXXI Roma
dal 17/06/2021
al 12/09/2021