Sandro Mele, Paradigma, 2020, exhibition view, AlbumArte, 2020, photo by Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte

Il paradigma di Sandro Mele. Dai padri costituenti al comitato di quartiere di Villa Certosa

Paradigma è il titolo della mostra personale di Sandro Mele alla galleria AlbumArte di Roma, a cura di Raffaele Gavarro.

“Paradigma: esempio, modello. Nel linguaggio filosofico, termine usato da Platone per designare le realtà ideali concepite come eterni modelli delle transeunti realtà sensibili, e da Aristotele per indicare l’argomento, basato su un caso noto, a cui si ricorre per illustrare uno meno noto o del tutto ignoto”.

La storia di questa mostra ha del curioso: progettata ed iniziata a realizzare alla fine del 2019, viene inaugurata il 23 settembre 2020, nel bel mezzo di una pandemia, di cui molto spesso la ricostruzione post-dramma (soprattutto sociale) viene collegata a quella post-bellica e post-fascista dei primi anni repubblicani. Inoltre, due giorni dopo il referendum costituzionale che diminuisce la rappresentanza parlamentare, lasciando inevitabilmente fuori dai processi decisionali ancor più pezzi della società, in una sorta di ghettizzazione delle minoranze.

La mostra dialoga con questi due eventi, pur non contemplandoli al suo interno, dimostrando la sua capacità di “essere” nel tempo e contemporaneamente superarlo, diventando appunto un paradigma. La “realtà ideale concepita come eterno modello” è quella che ci avvolge nella totalità delle pareti della galleria: i grandi ritratti dei 75 padri costituenti, in bianco e nero, con tratto espressionista e bande bianche che ne nascondono gli occhi, come a vergognarsi di quanto, negli ultimi decenni fino ad ora, la loro preziosa fatica, la Costituzione, sia stata maltrattata ed ignorata. Diminuendo anche, però,  le differenze anatomiche tra di loro, e mostrando come essi furono una comunità, nelle loro ortodosse differenze, che rappresentando l’intero popolo, collaborò alla nascita di quello Stato italiano che conosciamo oggi. Ai soggetti, in parte dimenticati dai più, viene in questo modo restituita sostanza, catapultandoli nel nostro presente, “tradotti” dall’artista, come simbolo e come esempio.

Muovendoci nella galleria siamo, dunque, immersi visivamente in ciò che personalità come Di Vittorio, Iotti, Togliatti, Moro, Tupini, Ghidini e Calamandrei rappresentano. Ma siamo anche immersi contemporaneamente nell’istallazione sonora che ci accompagna durante tutta la visita: il discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano proprio di Piero Calamandrei, del 26 gennaio 1955. Un discorso pragmatico e fortemente legato all’oggi, che pone l’accento su come lo Stato debba essere capace di rimuovere gli ostacoli sociali ed economici per permettere di fatto la libertà e l’uguaglianza di ogni cittadino, il terzo articolo della Costituzione, quello che molti definiscono il più importante di tutti. Tema essenzialmente da sempre irrisolto e molto probabilmente irrisolvibile in un’ottica neoliberista. Siamo inoltre immersi anche nell’opera ambientale Piazza: una serie di caschi da motociclista (simbolo di autodifesa durante le manifestazioni: lo indossano contemporaneamente i poliziotti, i giornalisti e i manifestanti) sparsi sul pavimento, e trasformati in fioriere, simbolo di speranza ed emblema vitale.

A questo ampio intreccio di senso sopradescritto penetra l’opera video Certosa 2020, in cui l’artista racconta un pezzo di periferia romana (Villa Certosa) e del suo comitato di quartiere che cerca di sopperire, attraverso numerose attività quotidiane, alla sostanziale e prolungata assenza istituzionale nella zona. Paradigma, anch’esso, di una reazione al fallimento politico, modus operandi del “far per sé” sempre più comune in diverse realtà sociali, frutto dell’indifferenza proprio di chi avrebbe dovuto cercare di rimuovere quegli ostacoli sociali ed economici di cui parla il terzo articolo della Costituzione e una delle cause delle bande sugli occhi dei padri costituenti. Realtà autogestita, tradita dalla “cosa pubblica”, e quindi disaffezionata ad essa.

In conclusione, logica e sentimento si mescolano durante la visita alla mostra di Mele, sommersi dai numerosi rimandi e collegamenti studiati in un’ottica spaziale e sinestetica. Essa pone dubbi di natura sociale e politica sul presente, facendo riemergere un passato in parte involontariamente dimenticato, come i volti dei meno noti padri costituenti, in parte volontariamente rimosso, come le parole di Calamandrei che si svuotano (ahinoi!) guardando alle condizioni delle periferie italiane.


Sandro Mele
Paradigma
a cura di Raffaele Gavarro
dal 23 settembre al 31 ottobre 2020

AlbumArte
Via Flaminia, 122 – Roma
Orario: dal martedì al sabato, ore 15.00 – 19.00
tel: 06 2440 2941
email: info@albumarte.org
sito: www.albumarte.org