ARCO Lisboa
Giulio Catelli, Doppio Ritratto. Richter Fine Art. photo credits Giorgio Benni

Il doppio ritratto di Giulio Catelli in mostra a Roma

Otto dipinti realizzati nell’ultimo anno sono presentati dall’11 febbraio al 26 marzo 2021 nella personale del pittore alla galleria di Tommaso Richter. Un’occasione per fare il punto sul suo originale percorso di ricerca, che lo vede protagonista sulla scena della nuova figurazione romana con una pittura vibrante di accenti, colta e intrisa di luce.

Di pittori si sa è pieno il mondo ma, tra i romani, si distingue senza dubbio Giulio Catelli, perché possiede nella sua ricerca un’impronta specifica e profonda, chiarissima e ispirata, che rende un suo dipinto o un suo disegno immediatamente riconoscibile, fra mille. Possiamo quindi scrivere, senza timore di essere smentiti, che intorno alla sua figura (sempre riservata, appartata, defilata eppure capace di apparire così gioiosa, ridente e sorniona, qualora si riesca a entrare nelle sue grazie, superando il muro di cinta dell’aristocratica diffidenza che lo attornia e sembra provenire da un altro tempo) si è andato costruendo nel corso degli anni un vero e proprio piccoloculto. Minuscolo, adatto a questo momento smitizzato e smaterializzato, ma certamente un culto devoto e destinato ad aumentare il numero degli adepti. Nato nel 1982, non più giovane artista (lo diciamo per slegarci da un’etichetta che significa poco o nulla in un tempo di giovanilismi improbabili e dissennati) ma uomo fatto e artista consapevole del suo ruolo e del suo lavoro, Giulio Catelli conta già diversianni di esercizio alle spalle al servizio della pittura, resi fecondi anche dalla fortuna di un contesto familiare stimolante e popolato di artisti da generazioni. 

Dentro di sé e nel suo fare pittorico Catelli ha un fuoco che tuttavia non brucia, piuttosto dardeggia e riscalda, accende e scoppietta, illumina e vibra. Il combustibileche lo anima è di qualità pregiata, come pregevoli sono gli esiti del suo infuocarsi pittorico. Dietro a un aspetto di gatto un po’ forastico e sempre in procinto di scappare, dissimula senza alcuna malizia uno sguardo finissimo, un giudizio tagliente e una cultura raffinata e potente che è anche culto della pittura come materia viva, indomabile, nobile e mai abbastanza nobilitata. Un pittore d’altri tempi, a modo suo, eppure protagonista di questo tempo che abbiamo in sorte, tanto da diventare – per la matematica di una sottrazione dell’ego e di un’addizione della trama viva dei suoi dipinti – un punto di riferimento per altri pittori romani e non solo, dentro quella rete di scambi e confronti che le tribù della pittura tessono in modo speciale all’interno del grande labirinto dell’arte contemporanea. Lo osserviamo alle mostre e fuori di essere e ci scopriamo a guardarlo mentre è guardato con ammirazione da altri artisti e sodali, senza però la pretesa di farlo diventare un modello o un capobanda. Semplicemente e senza troppi proclami, a nostro avviso a Giulio Catelli viene riconosciuto ormai da più parti un ruolo che deriva direttamente dal rispetto nei confronti della sua pittura ed è testimonianza della sua capacità di essere un fattore aggregante, una personalità connettiva, un magnete di meraviglie.

Questa lunga considerazione va ad accompagnare alcune riflessioni sulla sua ultima mostra romana, “Doppio Ritratto”, esposta alla Galleria Richter dall’11 febbraio al 26 marzo. Sono presentati al pubblico dipinti affettivi, che scoprono la materia intima e sensibile di un diario quotidiano che, oltre la memoria degli occhi, si fa contemplazione e canto. Il visitatore si trova al centro dello spazio più privato, ovvero una rappresentazione del cuore della casa del pittore, proiettata in quattro dipinti che l’allestimento della mostra raffronta, nella ricostruzione ideale ed espansadi un ambiente raccolto e colto nella pienezza del sentimento che lo anima. È questa la scena del duetto che dà il titolo all’intera esposizione. Il teatro degli affetti privatisi apre allo sguardo del fruitore attraverso gli occhi stessi del pittore, che si colloca in un autoritratto come se facesse capolino dal margine del discorso, accanto al suo compagno di vita assorto in un momento di riposo. Uno stare al margine, l’abbiamo già detto, è la misura stessa del rapporto di Catelli rispetto all’urgenza dei flussi della vita, che rappresenta però per lui un posto d’onore, una posizione privilegiata, per osservare descrivendo, per cantare tacendo, per dipingere scrutando. Lo stare nella vita della sua pittura è un fatto di metodo, di poetica e di forma, nei tempi e nei modi di una tecnica che dalla conoscenza profonda della materia pittorica non trae la lezione del mettersi al servizio della rappresentazione; al contrario, il respiro narrativo e descrittivo sono funzione del gesto pittorico, che nel suo lavorio è un farsi prima che pensarsi, un processo prima che un progetto. Guai a cercare un intento didascalico nella sua pittura, Catelli riguardo a questo è inflessibile: non è necessario che chi guarda capisca necessariamente chi, cosa e dove, quale momento e quali flussi di forze attraversino la sua arte, perché l’osservazione della realtà è solo uno spunto, a partire dal quale la pittura costruisce il suo vissuto proprio e che vive di una vita altra rispetto alle cose del mondo, mettendosi oltre la rappresentazione.

Nel presente della mostra riemergono, come sorgive di discorsi momentaneamente interrotti, gli echi di mostre precedenti, aggiornamenti e revisioni di formule già tentate e di approcci che il pittore riconosce per sé quasi istintivi, nella bolla sospesa di un anno funesto, quello appena trascorso, in cui la pandemia globale ha costretto tutti a un esercizio forzato della casa e a un ripensamento della domesticità come unica possibilità dell’abitarsi. E così l’autoritratto di oggi, un tema tanto caro al pittore quanto raro nella sua produzione, si va raffrontando direttamente con quelli da lui dipinti per una mostra in Sicilia nel 2016 e il taglio di certe figure va a ripensare alcune scelte compositive precedenti. Dopo un primo corpus di opere ambientate in interno, la mostra presenta quindi brani di pitture in esterno, contemplazioni alla finestra (come quelle inquadrate dall’abbaino del suo primo studio a via Nizza)oppure paesaggi estivi, sviluppi pittorici di appunti appena disegnati, le Marche sempre amate. In essi, quinte vegetali o palizzate scandiscono gli spazi e le priorità della visione, ritagliando schermi ulteriori nello schermo del quadro, in unragionamento profondo sui dispositivi ottici e sulle direzioni dello sguardo che legano secondo logiche ferree soggetti, oggetti e inquadrature. Di importanza estrema all’interno della dinamica dell’immagine che a Giulio Catelli interessa ottenere è la persistenza di un diaframma, qualcosa che cela e al contempo fa fantasticare, accendendo l’immaginazione sia del pittore che dell’osservatore, uniti insieme dall’esperienza di una pittura che non deve dichiarare tutto ma che toglie per aggiungere, sottrae per amplificare, allude per evidenziare.

Quello che colpisce, negli esiti più recenti della ricerca di Giulio Catelli, è il modo in cui la figura umana si riprende uno spazio dopo decine di scene di paesaggi vuoti ed è una conquista di libertà, una leggerezza vivificante, la scoperta rinnovata giorno dopo giorno di una spontaneità che mette in discussione i retaggi culturali e le convenzioni. Tutta la mostra, spiega l’artista, ruota intorno a un senso di pienezza, alla tensione dell’immagine verso la sua conclusione, che in sostanza non si raggiunge mai né si potrebbe raggiungere, in un’aspirazione ad abbracciare aria e luce nell’impasto. Il colore si dà per se stesso e insieme sostiene gli elementi della composizione. In certi momenti le superfici si fanno più affollate e gli spazi sono più fitti di segni, più occupati dal racconto che si fa mappa certosina (di trame di tessuti,ma anche di ambienti e affetti) e in altre occasioni, in controcanto, ci sono immagini con un tono più arioso, senza perdere mai di vista il senso di una pittura di sintesi, più che di descrizione, il cui oggetto non assume una dimensione univoca ma si costruisce nel dialogo complesso delle varie parti della trattazione pittorica che si sostengono a vicenda. A volte traspare un’attitudine lirica e altre volte prevale la contemplazione di dettagli, domestici o di paesaggi, investiti da un’intensità luminosa che li trasfigura regalando un’ipotesi di atemporalità immemore. Si dispiega così un racconto che si sostanzia di un piacere della materia pittorica nel suo farsi, tra pieni e vuoti, addensarsi del colore e trasparenze, sgocciolature e picchi emotivi. Spesso aleggia un fiato depisisiano, nel saltellare del pennello che fa diventare il colore una trina. Certo è che nel corso degli anni la pittura di Giulio Catelli si fa sempre più ariosa e convincente, intima e piena di luce, rapsodica e presente a se stessa, in una stesura agglutinante che, senza mai rinunciare a una vasta mobilità dell’andamento segnico, trova una felice compresenza dei vari piani e dei diversi livelli di intensità con i quali la materia viene porta: una coerenza della superficie che si offre tutta legata e avvolgente per l’osservatore, nonostante la screziatura multiforme dell’universo che la compone.

Giulio Catelli
Doppio ritratto
GALLERIA RICHTER FINE ART
Vicolo del Curato 3, Roma
11 febbraio – 26 marzo 2020
www.galleriarichter.com
info@galleriarichter.com

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