L’esposizione viene a conclusione del progetto che ha visto Dessì nominato artist in residence per il 2020-2021 presso il Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo, SARAS, diretto da Gaetano Lettieri. Periodo che ha coinciso con la diffusione dell’epidemia da Covid-19 rendendo difficile qualsiasi sviluppo di attività. Si è giunti allora alla decisione di lasciare segni.
Primo atto, la conferenza “L’arte della crisi” che si è tenuta all’interno del ciclo “Discorsi della Crisi. incontri in stato d’eccezione” (svoltasi on line il 23 giugno 2020 e ancora disponibile sul canale Youtube), a seguire, una volta ristabilita la possibilità della presenza, l’incontro-convegno di presentazione dell’opera Controluce (2020-2022) donata e installata lo scorso anno nell’aula Chabod, al terzo piano della Facoltà di Lettere.
Ora, l’atto conclusivo. A chiudere il ciclo la mostra Gianni Dessì. TuttoPieno, dedicata a Marcello Barbanera scomparso lo scorso anno. Professore di Archeologia Greca e Romana, presidente del Polo Museale dell’Ateneo e direttore del Museo dell’Arte Classica, da subito aveva immaginato la possibilità di una mostra all’interno del museo, per mettere in relazione il suo patrimonio composto da oltre 1.200 gessi, tratti perlopiù, tra la fine dell’Ottocento e metà del Novecento, a calco da originali greci, con l’opera di un artista contemporaneo quale quello prescelto.
La scomparsa prematura di Marcello Barbanera non ha fermato il progetto che la direttrice del Polo Museale e curatrice del Museo dell’Arte Classica, Claudia Carlucci, ha fatto suo portandolo a compimento.
Nasce così l’esposizione, il cui titolo, scelto dall’artista trova fondamento sia nella tridimensionalità della scultura che nella realtà di uno spazio gremito e percorso, dove alle opere spetta trovare un equilibrio a stabilire connessioni anche con la presenza viva e costante degli studenti che di quegli spazi fanno un uso quotidiano.
Una mostra quindi che oltre alla eccezionale raccolta della quasi totalità dei gessi del Museo vedrà esposte circa 19 opere tra sculture e dipinti di Gianni Dessì, a testimoniare il suo percorso artistico dove i termini di scultura, pittura, installazione trovano un originale punto di incontro nella potenza dell’immagine, fulcro e sintesi di innumerevoli altri approdi fisici e mentali.
La mostra parte dalla Facoltà di Lettere e Filosofia e si snoda negli spazi della gipsoteca e nelle aree limitrofe, in un’aula per la didattica, nei vani scale sino a occupare il soffitto del quinto piano dell’edificio di Lettere e si concentra particolarmente su quegli esiti che hanno visto la materializzazione di ‘figure’ a fare ‘spazio’.
Ciclo, questo, che fa seguito a quello delle camerae pictae (spazi dove a un solo colore, il giallo o talvolta il rosso, veniva dato il compito di abitarlo e ridefinirlo, mettendo fuori chi guarda, a trovare, come nell’anamorfosi, il punto di vista.
Qui, invece, è l’apparizione delle ‘figure’ a prendere lo spazio, a costituire una relazione, spesso riempiendolo, come accadde nel 2006 a Roma a Villa Medici, con Bianco e Nero, primo lavoro di questo ciclo.
La mostra prende avvio sul primo pianerottolo di sinistra appena percorso il corridoio centrale della Facoltà di Lettere con Nome e cognome (2015), sorta di ritratto/autoritratto/campana, in ceramica raku, appesa in alto trattenuta solo da fili usati per la pesca d’altura, che a raggera, partendo dalla sommità della testa, vanno ad annodarsi su diversi punti nei lati del soffitto.
Sul pianerottolo di destra l’opera Confini l (2007), appesa anch’essa al soffitto dal polso a farci segno, segnando sul pavimento un cerchio bianco.
Uno sguardo in su ci fa scorgere Quadro Ovale (2023), riedizione di un’opera presentata a Parigi nel 1994, all’Istituto Italiano di Cultura.
Varcata la porta del museo, è Confini lll (2009) a venirci incontro, due enormi piedi sovrapposti che vanno quasi a congiungersi all’altezza degli stinchi, al centro di un vasto cerchio nero e giallo posto sulla parete dietro.
Testa, dunque, mano e piedi, i tre limiti, i confini.
Sulla sinistra, e poi ancora sulla destra, due altre opere attirano l’attenzione: Uno, due e tre (2004/2005), gruppo a tre figure, appunto, che accostato sembra quasi stabilire una conversazione, unita e accecata dal rettangolo nero che le invade stagliandosi netto se visto dal suo proprio punto di vista. Al suo opposto Intreccio (2007): figure acefale, intrecciate in una presa erotica a suggerire il tatto.
Continuando nei due corridoi, anch’essi gremiti da grandi calchi classici, sul lato sinistro la mostra prosegue con il grande dipinto Conversation pieces XIX (2021) olio su tela e tempera su muro, diciannovesima e ultima opera del ciclo da cui prende nome, dove l’immagine stavolta è bidimensionale e appare grazie al bianco della tela e alla pastosità del nero.
Il ciclo di queste opere sono della stessa dimensione e tecnica, aperte alle immagini multiple dove al gesto dell’apporre colore sulla superficie che le conforma sembrano rispondere immagini strette nel loro fare, di qui la ‘conversazione’ tra i due moti, a celebrare la pittura come produzione di immagine.
In mostra altre opere si inseriscono tra le alte figure dei gessi a creare veri e propri contrappunti visivi, come i tre quadri, realizzati anch’essi con un unico colore, questa volta dorato, riflettente alla luce. Diversi, per quantità, sono i ritratti che vanno a costituirsi come luoghi, dove è ai tratti somatici che viene dato il compito di definire lo spazio e al colore quello di sottolineare la ‘gravitas‘.
L’opera di Gianni Dessì si costruisce intrecciando trame di colore con materiali vari sino a farsi visione, come in molte di queste opere, dove le superfici di rete metallica, torcendosi, trovano volume e immagine su cui anche la pittura interviene introducendo ulteriori spazi in un gioco di fughe sempre in bilico tra fisico e virtuale. A questo dilemma e a questa temperatura l’artista consegna il proprio senso, in questa mostra, dove le tante storie si fanno storia: presenze del nostro immaginario che si materializzano, occupano spazio e si accalcano quasi a dar conto della propria fantasmaticità, per dire di noi, della nostra presenza.
In occasione della mostra è prevista la pubblicazione di un libro-catalogo (Campisano Editore. Collana Saggi di storia dell’arte) a cura di Paola Bonani, che conterrà una prima parte a commento dell’opera ”Controluce” oggetto della donazione, con testi di Micol Forti, Carla Subrizi e Claudio Zambianchi e scritti sulla mostra di Giovanni Careri e Denis Viva.
La pubblicazione vedrà inoltre raccolta una esaustiva antologia critica con testi di Giorgio Agamben, Paola Bonani, Achille Bonito Oliva, Giovanni Careri, Marco Colapietro, Philippe Dagen, Federico De Melis, Danilo Eccher, Hermut Friedel, Nic Galvan, Frans Haks, Lorand Hegyi, Donald Kuspitt, Bernard Lamarche-Vadel, Daniela Lancioni, Valerio Magrelli, Lucilla Meloni, Marco Meneguzzo, Ida Panicelli, Ivan Quaroni.