Présence Panchounette, Coups bas libres, 1986 (Semiose, Paris)

Fiac Projects 2019

Fiac Projects 2019 rende omaggio all’infinito… all’infinito sentimento dell’arte che cerca, vuole e reclama bellezza. Le Petit Palais, architettura di inizio ‘900, è proprio questo, un simbolo di eclettismo che, con le opere dei grandi maestri dell’Ottocento francese: Courbet, Renoir, Delacroix in dialogo con la pittura rinascimentale italiana e olandese cerca da sempre nella storia la sua forma. Una forma che non può escludere la contemporaneità, per. ciò il Projects, ogni anno, si mostra come l’estensione naturale di quell’infinito immaginato dal Petit Palais sin dall’origine della sua collezione.

Le sculture e le installazioni, proposte dalle gallerie presenti in fiera, selezionate e ordinate da Rebecca Lamarche-Vadel, si mostrano nell’allestimento come una sorta di lieve conversazione con le opere del Petit Palais. In particolare di Nicolàs Lamas con Planned obsolescence, 2019 (Messen De Clercq, Brussels) e Jan Vercruysse, L’estate Paroles (Letto) VII, 1999 (Vistamare/Vistamarestudio, Pescara, Milano), disposte lungo la galerie nord, appaiono come quelle più coinvolgenti e visivamente accattivanti, tanto per per le originali visioni che si creano fra le statue del Palais e quelle degli artisti. Se Lamas con le sue obsoleti fotocopiatrici e copie si statue antiche racconta il paradosso della nostra epoca ricca di informazioni che restano attuali per poco tempo, Vercuysse in termini più filosofici racconta allo stesso modo i rapidi cambiamenti del mondo.

Volgendo lo sguardo verso l’alto vediamo il laser di Matt Copson (High Art, Paris), il quale, sempre attraverso elementi della classicità mescolati ad altri di folklore popolare, ci parla dell’impossibilità di risolvere le difficoltà del presente. Idea che rimbalza nell’opera dello svedese Erik Dietman, scomparso nel 2002, che con Le Proverbe turc, installazione composta da scarpe in bronzo con candele elettriche (Gallerie Papillon, Paris), ci trasmette il senso di non verificabilità delle cose. Ancora si segnala il lavoro di Max Hopper Schneider (Hight Art, Paris) che mette sotto teca i propri ecosistemi realizzati su carta, dandogli nella tridimensionalità una vera e propria vita che descrive la relazione contemporanea tra elementi organici e artificiali. Una lotta, se vogliamo, che rivediamo poeticamente nel ring dei Présence Panchounette, Coups bas libres, 1986 (Semiose, Paris) dove, due gigantesche lumache si affrontano su una tela dì Pollock, lasciando intuire allo spettatore l’ipocrisia estetica che spesso alberga nell’arte.

Un lavoro che sposta l’attenzione dall’ambito sociale a quello culturale e che, per certi versi diventa emblematico nella riflessione generale proposta dal Projects. Ci si chiede, infatti, e in conclusione, quale reale rapporto l’arte crei veramente con l’individuo, oggi come in passato, quale suo concreto contributo alla civiltà.

Maria Letizia Paiato

Storico, critico dell’arte e pubblicista iscritta all’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, insegna Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Dottore di Ricerca (Ph.D) in Storia dell’Arte Contemporanea, Specializzata in Storia dell’Arte e Arti Minori all’Università degli Studi di Padova e Laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Ferrara, è ricercatore specializzata nel campo dell’illustrazione di Primo ‘900. La trasversalità d’interessi maturata nel tempo la vede impegnata in diversi campi del contemporaneo e della curatela, della comunicazione, del giornalismo e della critica d’arte con all’attivo numerose mostre, contributi critici per cataloghi, oltre a saggi in riviste scientifiche. Dal 2011 collabora e scrive con costanza per Rivista Segno, edizione cartacea e segnonline. letizia@segnonline.it ; letizia@rivistasegno.eu