Documenta 15 – Kassel
Al via Documenta. Dal 18 giugno al 25 settembre il collettivo di artisti Ruangrupa presenta la 15a edizione della mostra che ogni 5 anni viene proposta a Kassel.
La prossima, forse, ancora una volta, epocale edizione di Documenta è firmata dal collettivo Ruangrupa, fondato nel 2000 con base a Jakarta. Un gruppo che, in assenza di infrastrutture locali e in condizioni politicamente avverse, ha operato con un format costruito su laboratori, festival, pubblicazioni e trasmissioni radiofoniche. Ruangrupa, il cui nome significa pressappoco spazio per l’arte, ha partecipato a numerose biennali internazionali, a Gwangju (2002 e 2018), Istanbul (2005), Singapore (2011), San Paolo (2014) e all’Asia Pacific Triennial of Contemporary Art (2012) e nel 2017 a Cosmopolis #1: Collective Intelligence, mostra del Centre Pompidou di Parigi incentrata sulle pratiche collettive del contemporaneo nei paesi in via di sviluppo.
Punto di partenza per la realizzazione di questa Documenta, i drammi del presente causati dal capitalismo e dall’antropocentrismo rapace, in linea con lo spirito con cui, nel 1955, era nata la prestigiosa rassegna tedesca per curare le ferite della guerra.
I Ruru, questo il nome degli adepti, lavorano nella logica di un alveare dove ciascuno dei componenti aggiunge saperi e conoscenze rendendoli disponibili alla comunità. Concept trasportato pari pari anche a Kassel mediante i lumbung, in indonesiano letteralmente granai di riso, e in questa Documenta, magazzini dove incamerare i contributi da gestire in modo plurale. Fanno parte di ciascun lumbung non star, curatori di lungo corso o rappresentanti del sistema internazionale dell’arte ma artisti perlopiù sconosciuti, associazioni, spazi cooperativi che sostengono gli artisti o accolgono richiedenti asilo e migranti, piattaforme educative, collettivi, network per produzioni agricole alternative e modelli rurali sostenibili come Fondation Festival Sur Le Niger (Ségou, Mali), ZK/U – Zentrum für Kunst und Urbanistik (Berlino), Gudskul (Jakarta, Indonesia), a Khalil Sakakini Cultural Center (Ramallah, Palestina), Trampoline House (Copenhagen, Danimarca), Jatiwangi art Factory (Jatiwangi, Indonesia), Más Arte Más Acción (MAMA) (Nuqui, Choco, Colombia), e OFF- 3 /15 Biennale (Budapest, Ungheria).
Dunque un focus curatoriale concentrato su ecosistemi locali, opposti alle dinamiche globali dove il collettivismo e la presenza massiccia di biopic (black, indigenous and people of color), non solo come quote dovute, sono la cifra distintiva di una rassegna decisamente fuori asse rispetto allo stigma occidentalocentrico e predatorio.
Molti dei dettagli restano ancora da definire a fronte di un budget di 42 milioni di euro messo a disposizione dei vari majeli (termine indonesiano che sta per raduno), raggruppamenti di progetti e di soggetti tenuti insieme da una comunione di intenti, al di là dell’appartenenza territoriale. Con l’obiettivo concreto di abbattere confini e identità in nome di una geopolitica fluida e osmotica dove circolino buone pratiche e un sano utopismo.