Chantal Joffe
Chantal Joffe, Self Portrait Bending Forwards II, 2015

Chantal Joffe | L’intimità dell’artista

Al Victoria Miro di Londra gli autoritratti di Chantal Joffe analizzano “l’intimità dell’artista” di origini americane

A due anni di distanza Chantal Joffe ritorna al Victoria Miro di Londra per una mostra personale, focalizzata sugli autoritratti dell’artista americana. In un’epoca dove siamo assopiti e assorbiti da continui selfies, creati per deliziare l’immagine che abbiamo di noi stessi, cercando di recuperare quello che viene a cuor leggero qualificato ‘bello’, ‘Naked’ si distanzia dai canoni che i media ci regalano ogni giorno e si riappropria di un territorio tralasciato nel tempo. 

L’artista si ossessiona con il proprio corpo, attraverso linee decise tracciate da pastelli che rintracciano le curve femminili. Nei lavori di Chantal le emozioni, scolpite con chiarezza, onestà e carica empatica, sono riaccese da una fisicità che evidenzia spontaneamente la forza psicologica dell’artista. Le sagome ci accompagnano in un luogo introspettivo dove la nostra presenza sembra non essere notata; o forse viene semplicemente accettata.

Le sue opere sconfinano dai rettangoli di carta per andare ad occuparne di nuovi: ognuno svolgendo una funzione parziale, costituiscono alcuni dei lavori su carta piu grandi che Joffe abbia mai rappresentato. Un processo creativo più ‘brutale’ rispetto alla pittura ad olio, dove l’esperienza con i pastelli viene descritta dall’artista come primitiva, ‘altamente fisica’: i pezzi di carta non sono posizionati su un cavalletto, ma si spostano dal pavimento al tavolo dello studio, ‘manovrati’ dalla pittrice.

I quadri esposti al Victoria Miro ritraggono l’artista in varie posizioni: prima si abbassa, poi si piega in avanti, infine muove il peso da un piede all’altro, perlustrando curiosamente il proprio corpo e studiandone le forme dall’alto al basso. Ricordano in qualche modo – forse nel tono vivace e contemporaneamente inquisitore – gli Untitled degli anni 70 di Luchita Hurtado: autoritratti energici dalle prospettive ridimensionate, dove l’artista venezuelana trasformava l’intimità in un’allegra riscoperta. 

Nonostante le similitudini, l’approccio di Chantal Joffe al ritratto è più unico che raro. È un rapporto morboso e sincero che l’accompagna dall’inizio della sua carriera e si ripresenta ciclicamente nel corso della sua vita, per catturare momenti intensi o semplicemente per ‘stare sul chi vive’, per ricordarci della sua esistenza, della validità del momento. Joffe usa spesso fotografie come punto di partenza: le considera il modo migliore per poter salvaguardare quelle emozioni che vengono catturate negli scatti –  cercando di attingere direttamente ‘dalla vita stessa’. Così, momenti dell’intimità in posizioni confidenziali si trasformano in scene familiari – in un’atmosfera amichevole e rassicurante, nella realtà dell’osservatore, abituato a una quotidianità spesso alterata. Che siano intimi o monumentali, i ritratti di Chantal Joffe sembrano voler scandagliare una verità: un’evoluzione che accomuna tutti i suoi soggetti, che finiscono per rappresentare segnali di transizione, passaggi  diversi stadi di vita,  processi di invecchiamento.

Non è la prima volta che l’artista espone autoritratti al Victoria Miro – già nel 2018 si era sfidata a ritrarsi ogni giorno, per un anno intero. Una pratica giornaliera e monotona che era risultata in una serie di opere aggressive, definitive. La propria immagine, a tre quarti, replicata  in ritratti simili se non per le date di esecuzione, aveva invaso la galleria londinese. Ogni opera si distingueva per dettagli marginali: luce, ombra, forza della pittura, seguivano le emozioni dell’artista, che invece mutavano di giorno in giorno. Così, attraverso le espressioni sul volto, a volte cupi e disperati, altre volte più tranquille, il passaggio del tempo e la sua presenza veniva spiegato attraverso i lineamenti del viso, fisionomie, rughe.

Joffe dice di amare i ritratti di moda, quelli delle copertine lussureggianti, dichiarando di apprezzare le ‘narrative che  derivano dalla fashion photography’. Quando non ritrae se stessa, si focalizza spesso sul mondo femminile. Sono tante le donne dalle quali trae ispirazione: la sua tecnica è spesso evocatrice dei quadri di Alice Neel, e Alex Katz. Joffe ha anche citato la famosa fashion fotografa americana Diane Arbus come un’importantissima influenza sui suoi lavori. Nei lavori della fotografa americana, si distingue il tentativo di normalizzare minoranze e gruppi marginalizzati: da membri della comunità lgbtq+, ad anziani e famiglie borghesi, a situazioni familiari più intime, come le loro abitazioni, gli uffici, i parchi, Diane violava i canoni standard che definivano la ‘distanza appropriata’ tra fotografo e soggetto. 

Chantal Joffe, come Diane, cerca di instaurare un rapporto di amicizia, senza oggettivizzare, catturando nei lavori un’intensità psicologica e regalandoci la fortuna di assistere alla naturale evoluzione di identità autentiche. 

Oggi, i lavori dI Chantal Joffe sono esposti in collezioni al Museum of fine arts a Boston, lo Scottish National Gallery of Modern Art di Edinburgh, il Royal College of Art di Londra, a il Metropolitan Museum of Art di New York. L’artista vive a lavora a Londra, UK.

La mostra è anche accessibile gratuitamente online tramite App Store su Vortic Collect.