Gerhard Merz

Autentici e spontanei

L’appuntamento del venerdì di Sistematica, le riflessioni di Andrea Guastella.

Mia moglie dice che devo smetterla di raccontare che l’altro giorno sono finito in pronto soccorso e che un mio amico – uscivamo insieme ai tempi del Liceo – mi ha teso una mano aiutandomi, se non a guarire, a superare l’emergenza. Ha perfettamente ragione. C’è tuttavia una profonda differenza tra l’essere autentici e l’essere spontanei. Io non ho alcuna intenzione di spifferare senza filtri i fatti miei. Intendo esclusivamente presentare una condizione psicologica che solo l’esperienza, la condivisione reale, rende possibile intuire. Tutti, prima o poi, stiamo male. La malattia ci strappa al quotidiano, ai nostri rapporti umani, rinchiudendoci nel carcere del corpo. Pian piano il mondo esterno si affievolisce. Dove prima erano volti, ora rimangono solo maschere grottesche. Agli altri non importa un piffero dei nostri malanni. Ognuno pensa a sé. Ciò non ostante qualcuno si avvicina. Può essere un infermiere, un medico, un compagno fidato, persino un estraneo.

Francisco Jose de Goya y Lucientes; Self-Portrait with Dr. Arrieta; 1820; Oil on canvas; 45 1/8 x 30 1/8 in. (canvas); Minneapolis Institute of Arts; The Ethel Morrison Van Derlip Fund; 52.14

Mentre scrivo ho davanti agli occhi una foto di Papa Francesco, che sta lottando contro una brutta polmonite, e l’ennesimo quadro di Goya, l’Autoritratto col dottor Arrieta del Minneapolis Institute of Art. L’artista vi si immortala stanco, sofferente, circondato dalle ombre, ma con Arrieta al suo fianco, che gli porge un bicchiere con fermezza, senza neanche un briciolo di carità pelosa, la falsa compassione di chi rimanda una cura necessaria, ma al contempo con dolcezza. Una dolcezza cui l’artista stremato, che sembra ormai aver smesso di lottare – ne fanno fede gli occhi socchiusi, il capo riverso da un lato, la bocca bloccata in una smorfia, la mano che si aggrappa come a un’ancora al lenzuolo – non è in grado di resistere. Goya prenderà la medicina, guarirà e per ringraziare il dottore gli regalerà il dipinto, con in calce questa dedica: “all’amico Arrieta, per la cura e l’attenzione con cui gli salvò la vita durante la sua acuta e pericolosa malattia”. Goya non dedica il dipinto a una Santo o alla Madonna. Lo dedica a un uomo. Con l’augurio che anche il Papa, e tutti gli ammalati, trovino uomini di scienza in grado di strapparli, prima ancora dei miracoli cui sovente, senza ragione, ci affidiamo – non è del resto Dio, come recita il libro del Siracide, ad aver fatto il medico: “onora il medico per le sue prestazioni, perché il Signore ha creato anche lui”? – agli abissi del dolore. Buon lavoro ai tanti medici e paramedici che lavorano per il bene dei malati e buona guarigione al Santo Padre.