Barena Bianca, fotografia da Atensión!, performance, Venezia, Serra dei Giardini, 2019

Atensión! Uno, Dieci, Cento, Mille Carretti!

La performance Atensión! del collettivo veneziano Barena Bianca.
Atensión! è una campagna di manifesti mobili, trasportati su carretti fatti a mano con materiali di recupero, sviluppata da Barena Bianca (supportata e prodotta da We are here Venice), che porta in circolo alcuni messaggi specifici legati alla sopravvivenza di Venezia e del suo ecosistema lagunare.

Il primo episodio di mobilitazione dei carretti e dei manifesti si è svolto nel periodo di apertura della 58.esima Biennale Arte di Venezia presso la Serra dei Giardini, mentre l’ultimo è partito sabato 5 ottobre dalla seda veneziana della V-A-C Foundation per poi percorrere la parte dell’isola che si affaccia sul canale della Giudecca, luogo di passaggio delle grandi navi da crociera. Alcuni dei manifesti rimarranno esposti sul pontile affacciato verso il canale di Rio Ognissanti – retro del Palazzo delle Zattere che ospita la fondazione – fino al 24 novembre. A ridosso, nel cortile interno, l’installazione esterna del collettivo londinese Assemble che ha realizzato, sempre insieme a We are here Venice,tre grandi vasche ospitanti differenti microcosmi ecologici delle barene e della laguna.

Barena Bianca, collettivo veneziano di artisti composto da Fabio Cavallari e Pietro Consolandi, ha trasformato, attraverso uno specifico software, dati pubblicamente accessibili, raccolti da istituzioni legate al Comune di Venezia, in immagini astratte. Analizzando e intrecciando, in successione storica, diverse tendenze ecologiche e sociali in atto nella laguna, ha elaborato gradienti di colori che aumentano di intensità e sfumano a seconda della proporzione del dato rappresentato. Trascritti, al di sopra di questi metadati descrittivi, si trovano le singole informazioni di epoche storiche differenti e le citazioni di illustri pensatori del passato che innestano riflessioni ambigue e inquietanti. Prendendo ad esempio il manifesto riguardante il progressivo spopolamento della città si legge la citazione di Nietzsche: “Cento profonde solitudini formano insieme la città di Venezia – questo è il suo incanto. Un’immagine per gli uomini del futuro”. La diminuzione percentuale degli abitanti nell’ultimo secolo si attesta attorno a un valore di -70%, medesima percentuale negativa che traccia la scomparsa delle barene all’interno della laguna, a sottolineare, seppur per cause non sempre coincidenti, il vitale rapporto tra società ed ecosistema.

Questa dicotomia società-ecosistema ci deve far riflettere riguardo l’importanza di un possibile termine primo di derivazione: il termine politica. È da troppo tempo che Venezia vive problematiche e nefandezze politiche legate alle grandi opere pubbliche, al gigantismo navale, all’erosione, alla perdita di cittadinanza, all’inquinamento, alla privatizzazione e al turismo di massa. Di pari passo all’ambiente urbano, anche la laguna viene finanziarizzata e colonizzata da una cultura dell’estrattivismo che l’ha mutata irreversibilmente, denigrando tutti gli esseri alter-umani che la abitano. La considerazione passiva e subalterna dell’Altro ha smantellato la possibilità di un sistema sociale sostenibile, allontanando il rapporto di reciproca dialettica decisionale che dovrebbe intercorrere tra uomo e natura. Se ne è prodotta una retorica del capitalismo del disastro che guadagna attraverso il terrore della fine, senza praticare di fatto risposte alternative. È invece necessaria una nuova “ecologia politica” basata su di un’eguaglianza tra i viventi. Questi cambiamenti percettivi e filosofici devono proporre una riconsiderazione di noi stessi e del nostro rapporto con il mondo, i nostri così detti legami terrestri, in una lettura includente la biosfera, l’atmosfera e l’idrosfera. Le teorie dell’Antropocene e del Capitolocene ci dicono che le distruzioni irreversibili sono in corso quotidianamente e che l’epoca geologica attuale è condizionata dall’impronta ecologica dell’uomo, ma questo non può bastarci e non può farci dimenticare che la conversione ecologica deve dialogare con realtà in-umane e alter-umane, con una lotta per la giustizia sociale e dunque una riconsiderazione della politica intesa quale responsabilità. Respons-abilità e rispetto che introducono, nel pensiero della filosofa americana Donna Haraway, la dimensione della cura, fondamentale nell’epoca odierna del Chthulucene. Il termine prende origine dal nome del ragno californiano Pimoa Cthulu al quale viene aggiunta una “h” iniziale per rompere l’unità singolare attraverso un metaplasmo, ovvero un cambiamento nell’aspetto sonoro o grafico di una parola. È questo mutamento e slittamento che dobbiamo rendere all’altezza della complessità eterogenea del mondo e dei processi simpoietici tra umano, altro da umano e humus.

Allo stesso modo della laguna anche la città di Venezia viene traghettata dall’egemonia neoliberale verso lo stereotipo da cartolina, l’abitante al lume di candela, l’amore-albergo diffuso, la favola del suo galleggiare sull’acqua, ignorando però la sua vitale linfa idrodinamica. Romantizzare le sue rovine, museificare il residente e alimentare il suo decadentismo a favore di una narrativa del profitto, questo è il diktat che vende sempre più a caro prezzo la morte di Venezia ai turisti di passaggio.  

Contro questo immaginario imposto dobbiamo coltivare il comune, parlare del presente, considerare le perdite nella ricomposizione culturale, nell’apertura di spazi di riflessione e azione, riabitare le calli e batterle una ad una. A tal fine il carretto è mezzo di rioccupazione e resistenza viva. Utilizzato per il trasporto merci, trainato da braccia e piedi, si muove agevolmente e tempestivamente in un ingorgo turistico continuo per consegnare pacchi o aiutare nella spesa giornaliera, nel trasloco di stanze, nel riciclo dei mobili o nell’organizzazione di manifestazioni. Se si paragona dall’alto il tessuto informale di calli al sistema di canali tra isole e barene, quest’ultime sono il sistema respiratorio che filtra acqua e aria della laguna, tanto quanto il carretto tiene in vita la città di Venezia, rappresentandone il suo sistema circolatorio. La mobilità del carretto e il suo conducente seguono regole ferree, tra le quali il tenere la destra e, se necessario, gridare “Atensión!” Nell’inquinamento acustico di una Venezia turistizzata, il suo grido, a volte sgarbato, a volte altezzoso, disperato, rassegnato, a volte semplicemente necessario, è gioco di rivolta. È un grido tuttavia che deve imparare la speranza, che deve allontanarsi dalla performatività individualista del lavoro e del profitto, per trasformarsi in rifiuto diffuso dell’ingiustizia. Moltiplicare e differenziare, includere la dialettica del negativo per trarne forza e dar vita a un potere costituente, plurale, corale. Un “poter fare” che immagini continuamente uno, dieci, cento, mille carretti correre, passeggiare e insorgere con le loro immagini, e i corpi di chi le trasporta, in ogni spazio della città, al fine di rivendicare un nuovo immaginario che si discosti dagli stereotipi. 

Lontani dalla sola riproduzione della realtà, le figurazioni dei carretti si spingono fino a contaminarla e dislocarla, non solo in quanto immagini immobili e complete che infettano gli stereotipi di un ambiente visivo, quanto piuttosto nel loro carattere performativo e abitabile. In questo senso il corpo è componente dell’opera e utopia concreta che dissolve le logiche di sopraffazione delle grandi navi, degli scavi dei canali, dell’erosione di un intero ecosistema e dell’inquinamento atmosferico, per riappropriarsi del possibile futuro nel quale le relazioni di potere vengono accantonate da una comunità che rivendica il suo voler tornare ad esistere. 

Allora a bambini, poeti, pesci, navigatori, batteri, anziani, zanzare, attivisti, piante, mascherai, oste, moeche, vogatori, gabbiani, trasportatori, donne, lavoratori culturali, piccioni, funghi, subalterni, emarginati, ragni, spore, librai, pantegane, giardinieri, occupanti e a Franco Libri, che ormai non c’è più, a ognuno il proprio carretto, la propria immaginazione, la propria luna riflessa rotta da un motore nero nell’acqua argentata, a ognuno il proprio diritto all’abitare tra il silenzio del vento notturno. Atensión!