Il titolo della tua ultima mostra – quasi un verso, o una frase musicale – si augura leggerezza: la chiedi per la tua pittura?
I contenuti della mia pittura non sono mai stati “leggeri”, ma io sono sempre in cerca della poesia in tutto ciò che osservo e vivo. Con il titolo pensato per questa mostra volevo, in qualche modo, dare l’idea una leggerezza d’animo che, allo stesso tempo, suggerisse anche altre riflessioni presenti nelle tematiche che affronto. Un “Se” che lascia in sospeso, che apre a un dubbio, un racconto in divenire che il fruitore delle opere è invitato a “leggere” ponendosi anche delle domande, spingendosi un po’ oltre l’apparenza della mera rappresentazione estetica. Se ogni giorno io (in quanto essere che ha coscienza di sé e del mondo) fossi lieve, e se invece no? Come stanno davvero le cose nel mondo che viviamo?
Le tue figure, sovente di spalle e come sospese, reclamano empatia. La lontananza è la porta che conduce all’interiore?
Le figure sono quelle con cui l’osservatore tende a identificarsi. Dove non vi è la figura, il punto di vista spesso coincide con la visione di una prospettiva, un percorso che non è solo fisico e materiale ma è soprattutto spirituale, mentale e, appunto, interiore.
La cancellazione dei volti è anche un’allusione alla labilità dell’esistenza. Pensi spesso alla morte, alla fine?
Penso alla labilità in generale, sia come condizione umana (la durata della vita, i ricordi, i sentimenti, le relazioni interpersonali) sia come principio che regola le leggi della Natura. Uso spesso il termine “effimero” riferito al paesaggio, ad esempio, che muta continuamente sia per mano dell’uomo sia per cicli o eventi naturali. Forse anche il vivere sotto a un vulcano attivo mi dà maggiore consapevolezza di questa condizione. Così come ritrovarsi immersi nella nebbia dei miei dipinti, che cancella i contorni e fa perdere qualsiasi riferimento, allude, concettualmente, a questa labilità delle cose.
Ciascuno dei tuoi lavori, preso singolarmente, è un’incessante variazione sul possibile. Ho tuttavia l’impressione, suggerita dalla mostra, che tra essi si intrecci una molteplicità di fili. Un discorso comune?
“Possibile” e “Molteplicità” sono effettivamente due termini chiave del mio lavoro. Tornando anche al titolo della mostra, che tenta di legare tra di loro tutte le opere esposte, cerco proprio di suggerire questo. Ogni dipinto, infatti, custodisce qualcosa di inafferrabile e indefinito che l’osservatore è invitato a scoprire attraverso una sottesa narrazione che apre, in maniera discreta, a infinite possibilità, pur muovendosi da presupposti comuni che inducono a pensare che tra noi e il paesaggio che ci illudiamo di possedere c’è un ostacolo che ci separa dalla natura primordiale che abbiamo violato ma che, tuttavia, nel diradarsi della nebbia, può dare luogo a un’epifania che apre alla costruzione di nuovi futuri possibili.
Come si è evoluto, negli anni, il tuo stile?
Nel tempo, la rarefazione dell’immagine è divenuta più estrema, la pennellata più indefinita, fino ad assumere, in certi casi, connotazioni astratte, talvolta con virate materiche con cui emerge l’esigenza e l’urgenza che ho di comunicare certi temi attuali, come quelli che riguardano l’ambiente. L’effetto mosso derivante dalla simulazione di immagini video o lo sfocato fotografico, sono stati assimilati a tal punto da non avere più nemmeno bisogno di riferimenti iniziali. Il punto di vista soggettivo e distaccato delle riprese video e degli schermi digitali, si è fatto più emozionale e le immagini di luoghi si abbandonano spesso al ricordo e alla suggestione, diventano spazio mentale, talvolta inventato, quasi onirico.
Se un giovane ti chiedesse un consiglio su cosa è indispensabile per un artista agli esordi, che cosa gli risponderesti?
Lo studio, la costanza, la perseveranza, e crederci davvero tanto…
Progetti per il futuro?
Diversi sono i progetti già in programma e alcuni in via di definizione, oltre a collaborazioni con nuove gallerie. Nell’imminente, mi attende la collettiva “À fleur de peau” curata da Angela Ghezzi all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, in cui presenterò sei grandi dipinti inediti e esporrò per la prima volta anche alcuni disegni. Mentre tra i progetti più importanti che mi attendono nel 2023 ci sarà una residenza artistica con cui spero di definire e portare a conclusione il lavoro di indagine su Gibellina a cui mi dedico da un po’ di tempo.