Il 23 aprile scorso, presso la sede di Beverly Hills di Gagosian, è stata inaugurata “Beginning”. Curata da Francesco Bonami, la mostra statunitense è un’occasione unica per ammirare le opere di grandi artisti internazionali quali Maurizio Cattelan, Felix Gonzalez-Torres, Richard Prince e Rudolf Stingel.
La mostra tratta del camminare, dell’attraversare, del guardare, del dormire, dell’avere paura e del morire, ma serve anche a ricordarci che ogni volta che camminiamo, attraversiamo, guardiamo, dormiamo e moriamo abbiamo l’opportunità di ricominciare. (Francesco Bonami)
La mostra di Gagosian Beverly Hills comprende dipinti, installazioni e fotografie. Quattro lavori chiave dell’arte contemporanea sono accostati in un allestimento contemplativo e frugale, ispirato alla mostra del 1994 sui lavori di Gonzalez-Torres e Stingel presso la Neue Galerie am Landes museum Joanneum di Graz. “Beginning” ci invita a riflettere sull’impatto dei recenti traumatici eventi e su come essi abbiano inciso sulla percezione collettiva dell’arte e della cultura. Un sentimento di dolore pervade l’intera esposizione e il visitatore è invitato a meditare sul doloroso processo di transizione da uno stato dell’esistenza ad un altro. Un resiliente spirito di speranza rappresenta l’unica salvezza in una realtà devastata da morte e disastri.
Nel murales di Cattelan “Father” (2021), una colossale rappresentazione bianca e nera dei piedi nudi dell’artista incombe sull’interno della galleria. Il titolo allude alla complessa relazione tra l’artista e il padre, mentre l’immagine rappresentata richiama il celebre Cristo Morto del Mantegna, oltre che le famose fotografie dei piedi di Che Guevara, scattate dopo la sua uccisione. L’opera rimanda anche a “Daddy”, scultura del 2008 che raffigura Pinocchio a faccia in giù in una sorta di fontana (installata per la prima volta al Guggenheim). Father è inoltre un rimando al dilemma finale dell’Amleto, “to die, to sleep”: la scelta tra il rifiuto di una realtà violenta e il rischio di soccombere alla stessa.
In “Spiritual America 4” (2005), Prince si concentra sul significato e sul potere di un corpo specifico, esaminando le idee di contesto e complicità. La suggestiva fotografia di una ormai quarantenne Brooke Shields è una replica a “Spiritual America” del 1983. Nel primo lavoro la Shield aveva solo dieci anni, mentre nell’opera presente in “Beginning” Prince utilizza un’immagine più tarda. Spiritual America vuole far riflettere sulla sessualizzazione del corpo e sull’accettazione da parte della società di tale immaginario. La scrittrice e curatrice Rosetta Brooks osserva che quando il lavoro venne esposto per la prima volta obbligò gli spettatori a “superare la normale soglia di indifferenza e negare l’oggettività che normalmente si ha nell’osservare le cose”.”Spiritual America 4” è la continuazione naturale del primo lavoro e ci mostra come la codardia di tutta la società porti a guardare le cose senza agire o reagire, rendendoci complici nei peggiori crimini della storia.
Le installazioni in mostra cambiano l’esperienza del visitatore e il suo rapporto con lo spazio della galleria. Rudolf Stingel, celebre artista altoatesino, lavora con i tappeti dal 1991, quando tenne una mostra presso la Daniel Newburg Gallery di New York. Per l’occasione, Stingel coprì il pavimento tappezzandolo di un arancione intenso. “I passanti possono vedere lo splendore dalla strada. E’ una questione di speranza e disperazione” dice Bonami. Il tappeto che Stingel ha realizzato per la mostra a Beverly Hills è di un nero intenso, che conferisce al progetto un aspetto più tetro.
Il sipario di Felix Gonzalez-Torres, “Untitled” (Beginning) del 1994, ha un effetto trasformativo sul nostro passaggio attraverso la stanza, oltre che un alone di poetica solennità. Gonzalez-Torres realizza queste particolari tende che vengono installate in punti di passaggio degli spazi espositivi, costringendo i visitatori a camminarci attraverso per muoversi verso le altre opere. La relazione tra le opere e lo spazio è fortissimo e il contatto tra spettatori e tende allude alla paura del contatto che caratterizza un’epoca segnata dalla pandemia. Il lavoro dell’artista cubano, celebre per le sue installazioni incentrate sul tema dell’AIDS, nel contesto della mostra statunitense diventa quasi un portale mitico, che invita lo spettatore a passare da uno spazio familiare, condiviso, ad uno sconosciuto, pericoloso ma che allo stesso tempo conduce verso un nuovo inizio.
Francesco Bonami è il direttore artistico di “By Art Matters“ di Hangzhou. Nel corso della sua carriera ha curato oltre cento mostre, tra cui ricordiamo la cinquantesima edizione della Biennale di Venezia (2003) e la Whitney Biennial (2010). Scrive per Il Foglio e Vanity Fair Italia e, nel 2019, ha pubblicato “Post: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità sociale” (Feltrinelli). Presenta il podcast “Artefatti“ ed è presente su Instagram come @thebonamist.
BEGINNING: Dal 23 aprile al 4 giugno 2022