La rassegna è stata organizzata insieme al Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, ed è stata inaugurata il 30 giugno alla presenza di Calogero Pumilia, presidente della Fondazione Orestiadi, di Enzo Fiammetta, Direttore del Museo delle trame di Gibellina, di Paolo Minacori, direttore della FAM Gallery di Agrigento, del curatore Giuseppe Frazzetto e della vedova dell’artista.
Il giorno seguente una sezione staccata della rassegna è stata inaugurata presso la FAM Gallery. Nei giorni seguenti la galleria ha ospitato anche dei laboratori didattici, a partire dalla pittura di Fasulo, curati da Ausilia Venturella.
Proponiamo qui un estratto dal testo del curatore della mostra, Giuseppe Frazzetto.
Nella sua produzione pittorica Franco Fasulo si è sempre confrontato con la classicità, rapportandola a una sua idea di rinnovamento. Si badi, però: solo occasionalmente l’orizzonte della classicità diventava per lui un viluppo statico di visioni. Si trattava invece del “luogo”, concreto e immaginario, in cui sguardi ed emozioni trovavano una possibilità di riconciliazione, nonostante il loro essere esposti alle inquietudini della Storia. La pittura di Fasulo è quindi l’esito (filtrato dal suo talento artistico) di viaggi, meditazioni, domande a cui la visione che si palesa nel dipinto affida il suo senso e la sua fascinazione.
Ma applicato alla pittura di Franco Fasulo il termine “luogo” ha almeno due sensi. C’è il riferimento al suo luogo effettivo, alla sua condizione di siciliano anzi di agrigentino (una condizione assolutamente non intaccata dal suo trasferimento nel Nord Italia); ma “luogo” è anche l’ambito in cui si determina il darsi della visione, in cui il grumo di esperienze che fanno da sfondo e da contesto alla visione stessa si materializzano nell’immagine. Per questo nella sua pittura spesso ricorre il senso di qualcosa come un lampo, ovvero l’improvvisa testimonianza di una consavolezza – e/o di una domanda sul senso.
Diremo allora che Franco Fasulo dipingeva campi di tensione fra il lirico e l’epico, fra l’espressività pura e il suo comporsi una struttura ellitticamente narrativa. La constatazione riguarda in particolare un versante della sua ultima produzione, ovvero pastelli di piccole e quasi minime dimensioni. Lo esplicitava una dichiarazione del pittore: “Cerco nelle murate ossidate delle navi, nel ristretto perimetro delle lamiere di fasciame combuste al sole e consunte dalla navigazione, il codice pittorico che sveli e che narri nella sua mai compiuta grandezza tutta l’epica degli orizzonti da traversare, tutto l’epos del nostro animo”.
In altri dipinti Franco Fasulo si manteneva più vicino a un’intenzione referenziale, quindi anche a un’attenzione ottico-fenomenica, come in certi paesaggi in cui lo sguardo si concentrava sulla Scala dei Turchi o su un faro o sulle “sacre pietre” dell’antica Agrigento. Torna quindi alla mente la grande tradizione isolana del paesaggio. Una stagione in cui la pittura emergeva come suprema modalità della conoscenza, in quanto delineazione dei tratti di una realtà che si esibisce come verità indubbia giacché fondata sui sensi, sulla percezione. La componente lirica della pittura di Fasulo si annoda attorno a questa ricerca di verità, a questo impulso di autoriconoscimento tramite la memoria della sguardo, che nell’immagine dipinta riconosce un frammento della propria unità multiforme. La tensione è poi verso un’oggettivazione di questo balenio di “piccole verità”, in un’accorata “epica” in cui anche altri potessero vedere il (e meditare sul) “luogo” transeunte eppure intenso in cui ci è dato essere mente, essere sguardo.