ATMOSFERA.
L’atmosfera veneziana è ancora, molto ma molto lontana da quelle atmosfere che abbiamo conosciuto negli anni felici del passato recente, quelli delle inaugurazioni della Biennale che erano una festa, una occasione di riabbracciare amici e colleghi. Il leitmotiv della mostra è una domanda pensata (forse) prima della pandemia SARS Covid19 che però, con la pandemia ha dovuto fare i conti; come vivremo insieme nel futuro?
Sembra una domanda semplice… eppure questa domanda semplice, questo punto di domanda finale su come vivremo insieme, IN FUTURO, ci interroga come mai niente e nessuno ci abbia mai interrogato in precedenza. Proviamo a attraversare questo ignoto mare e, se riusciremo a farlo insieme, sarà più lieve, perfino il naufragio, certamente… Di certo adesso, resta più sicuro visitare la Mostra che prendere un vaporetto qualsiasi.

LAVORO
Ci sono cose che colpiscono, in primo luogo la serietà delle persone al lavoro che anche se con un pubblico di addetti ai lavori contingentato e decisamente inferiore al solito, trasmettono con i loro corpi messi al lavoro, tutto il senso di responsabilità che grava sulle loro spalle, per tentare di riaprire nel migliore dei modi, una delle più antiche e importanti manifestazioni culturali del mondo. In secondo luogo la Biennale si rivela una macchina organizzativa perfetta nel garantire tutte le precauzioni per una visita sicura, che senza dubbio vale la pena di fare. Infine regna in Biennale un senso generale di serietà, di solennità, che non lascia nessuno spazio a ‘effetti speciali’ facili, mentre al contrario, c’è un senso generale di concretezza e sincerità.


MOSTRA
L’esposizione tra Giardini e Arsenale mostra delle omologie, una progettualità diffusa che ha molto meno il sapore del genere di quello espresso dalle ‘archistar’ degli anni recenti e che molta attenzione dedica a comunità locali, a temi politico-sociali che risultano più vicini alla quotidianità di ciascuno. Si potrebbe definire una mostra che espone un’architettura per le persone. Non che manchino delle vere star, da Saraceno a Koolhaas a EMBT, da Aravena a De Lucchi, ma tutti presenti con un profilo direi, antropologico-sociale. Così diritti civili, gender studies, estetiche queer, patriarcato, brutalità poliziesche, conflitti, periferie e periferie del mondo, migrazioni, comunità locali, si sposano felicemente con installazioni che utilizzano i linguaggi propri delle arti visive, infatti, si respira tanta arte come forse mai prima, in una Biennale di architettura. In effetti non sembra esattamente una Biennale di Architettura e questo ‘difetto’ è il suo maggiore pregio!
MEMORIA
Il premio alla carriera a Rafael Moneo e quello alla memoria a Lina Bo Bardi, si inscrivono in questa direzione.. Lina, donna illustre e idolo di tutti noi, e Rafael Maestro di noi tutti, Rafael, immenso nel suo eclettismo, ci rende partecipi e spettatori unici di capolavori irriconoscibili stilisticamente quali la ‘prevision española de Sevilla’, che nulla ha a che vedere con il Museo di Merida il quale, rispetto al city hall di Murcia o al Kursaal di Donostia utilizzano alfabeti differenti tanto che sembrano opere di architetti diversi per forme materiali e concezione. Invece no, solo per fare pochi emblematici esempi. Parlo da scultore e da artista, di quattro progetti vicini temporalmente ma ciascuno perfettamente autonomo (site e time specific) per un autore ‘senza stile’, il che, detto da uno scultore ‘senza stile’ è riconoscere da artista, al Maestro il carattere del genio! Quella umiltà che ti porta ad adattarti al contesto per dare il meglio di te. E che intellettuale è Moneo? La solitudine degli edifici è un libro imperdibile. Questo riconoscimento arriva secondo me almeno con 30 anni di ritardo ma almeno arriva e ne siamo tutti felici.


OSSERVAZIONI
Alcune osservazioni a caldo: caldo come il legno, quasi onnipresente… Solo per fare alcuni esempi, dal padiglione Giappone passando al padiglione Venezia con stupendi disegni e modelli di De Lucchi, dalla grande scultura di Aravena al padiglione Stati Uniti, questa attenzione al legno al vegetale è una cosa che salta agli occhi. Addirittura in Arsenale troviamo una complessa installazione basata su clorofille e spirulina come materiali da costruzione. Anche la sensibilità sociale e politica emerge chiaramente.. è una osservazione atmosferica non puntuale ma la sensazione che questa Biennale 2021, possa anche veramente essere megafono o semplicemente un ‘palcoscenico’ e anche ripetitore di altre istanze.



OSSERVAZIONI BIS
Ci sono anche altre cose che colpiscono, alcune molto negativamente: padiglione Cile che si affida a 500 dipinti a olio dello stesso formato mentre il Paese ha manifestazioni quotidiane da anni e chiese in fiamme? Lascia sbalorditi.. Il padiglione del Venezuela chiuso in evidente stato di abbandono, il padiglione Israele schivato dai visitatori non ostante l’interessante esposizione, su animali selvaggi e domestici, conseguenza credo io, delle recenti quanto eclatanti misure anti-palestinesi in atto in questi giorni che mostrano al mondo una faccia truce militare del Paese che rende incredibile ogni segno ‘culturale’, il padiglione Australia irrimediabilmente chiuso, così, Cecoslovacchia chiuso, Cina vuoto, in attesa di qualche trasporto via mare? Mentre la Germania, si presenta con un padiglione scientemente vuoto pieno solo di un unio Qr-code. Paradossale è dir poco!









SORPRESE
Non sono mancate per me delle sorprese, già nel 2016 nel nostro volume intitolato ‘spazi d’eccezione’, volume a cura di Escuela Moderna e S.a.L.E. Docks presentato in Biennale Sessions c’erano nel libro: Forensic Architecture, Giovanni Vaccarini, come Cohabitation Strategies, Arquitectura expandida, Nicoletta Braga, EMBT, Straddle 3, Laura Pinta Cazzaniga, Gianluca Stasi/Ctrl+Z, Alessandro Zorzetto/Architetture precarie, Santiago Cirugeda/recetas urbanas, e il sottoscritto, (questi oggi tra le pagine svolazzanti del padiglione spagnolo li ritroviamo ancora oggi).. Ma ritrovare ancora oggi tra i Giardini (Forensic Architecture) e Arsenale (come Cohabitation Strategies, Raumlaborberlin, EMBT e Arquitectura expandida) e Vaccarini (al padiglione italiano) è stato un grande piacere; ed è stato appunto un piacere ritrovare i nostri amici belga/colombiani di Arquitectura Expandida, i quali ci riportano immediatamente alla tragedia di un popolo che, con un solo SLOGAN, senza se e senza ma, ci rende edotti di una lotta per la propria emancipazione, la quale lotta viene brutalmente repressa dal governo. Segno evidente che il ‘sistema cultura’ tra arte architettura e sociologia sa intuire in anticipo sviluppi riguardo a ‘spazi d’eccezione futuri’.



NOSTALGIE
Per me, è stato come se, passeggiando per le vie di una città sconosciuta, incontrassi per caso ma tutti insieme, tanti cari vecchi amici, il che ha reso familiare e amichevole questa mia visita. Allo stesso modo è stato bello incontrare l’opera dell’amico Vincenzo Marsiglia sempre al padiglione italiano, inoltre autori come Corsini, Garutti e Tuttofuoco, ma anche una mia ex studentessa di Brera al padiglione Venezia, Lorenza Iacobini con il suo struggente ‘cieli sereni’. I ‘cieli sereni’ della Iacobini, otre al titolo aulico e rassicurante, ci mostrano attraverso delle foto ridipinte dall’artista, l’indifferenza assoluta dei cieli sopra quattro città simbolo della nostra eredità culturale.
Parliamo di quattro pseudo postcard che mostrano quattro città distrutte dai recenti conflitti sotto l’indifferenza dell’Occidente e del Cielo. Gaza, Aleppo, Homs e Raqqua, quattro pilastri della nostra cultura dei quali rispettivamente capitalismo, militarismo e religioni hanno fatto scempio.







Una mostra da vedere.
ARCHITETTURA è ARTE?
Mostre come questa, dimostrano che arti visive e architettura, come fossimo in un nuovo Rinascimento, possono dialogare, che ciascuna disciplina può attingere dall’altra, che sarebbe stupido incasellare dico per esempio Miralles, Aravena o Saraceno in una sola ‘categoria’ disciplinare, tanto vale a dire che le arti, sono per l’umanità, pure nelle diverse entità disciplinari, quel ‘vuoto’ tra una cosa e l’altra, quel between, quello spazio si vuoto ma denso di possibilità.