Ad Alessandrio Librio:
Il tuo lavoro è, in un certo senso, un furto alla realtà, di cui ti nutri. Come è nata questa vostra interazione? Che cosa avete “rubato” l’uno all’altro?
L’incontro è avvenuto grazie a Michael Kortländer e Alessandro Pinto che, qualche mese fa, ci hanno proposto di realizzare questa mostra insieme.
E di questo sono loro grato poiché per fortuna (non è affatto scontato) il dialogo fra me ed Evangelos è iniziato immediatamente, e come di comune accordo è esplosa nel nostro immaginario l’idea della Rottura quale focus; da qui il titolo Brechen.
I nostri approcci sono decisamente differenti, ma è proprio questo il lato divertente.
L’obbiettivo non è tanto realizzare un lavoro comune, quanto trovare un punto di contatto, che spesso nello spazio viene distrutto per poi riapparire.
Per ciò che concerne il mio lavoro, ho preferito ricercare non la finzione ma la realtà, concentrandomi principalmente su un aspetto duro della povertà, quello legato alla violenza di un furto.
Un furto vero.
L’ultima spiaggia: mettere a rischio la propria libertà per necessità.
Mi è venuta quindi l’idea di creare un dispositivo che fosse una sorta di esca, un computer apparentemente funzionante posizionato sul sedile posteriore di un’automobile.
L’auto, interamente microfonata e videoripresa, simboleggia la barriera da forzare; il ladro arriva intorno alle 21:00 con uno scooter, rompe il vetro, prende il computer e scappa con una maestria sconvolgente. Una scena che dura circa 4 secondi.
Ma il suono del vetro che scricchiola continua a riecheggiare per qualche minuto, come a voler rappresentare un segno, una cicatrice, una ripercussione che si protrae nel tempo e nella memoria.
Il ladro di Palermo ruba, ma anche il mio atto (quello di posizionare un’esca) è un atto illegale, denominato dalla legge italiana “istigazione a delinquere”.
Con questo lavoro ho voluto accendere un faro su un problema.
La trascrizione dei suoni che registri mi ricorda certi quadri barocchi, anche di Caravaggio, i cui protagonisti erano intenti a eseguire uno spartito. E tuttavia, in quelle opere, la trascrizione faceva “sentire” la musica, che nella tua installazione si percepisce già. Qual è il senso di questa operazione?
In realtà in questo caso non sto realizzando una trascrizione visiva di un evento musicale.
Questo tipo di approccio era caratteristico della prima parte della mia produzione di arte plastica, in cui avevo necessità di rimanere in comfort zone.
La scrittura musicale ha il suo inizio in Italia grazie a segni grafici posizionati sopra un testo.
Avendo una preparazione di tipo musicale, col ritrovarmi catapultato nel mondo delle arti visive ho avuto necessità di rimanere ancorato alla partitura grafica per alcuni anni.
Oggi mi trovo in una fase della mia produzione artistica differente, in cui indago e affronto il suono come se fosse una scultura, o per meglio dire una scultura invisibile.
La tua performance sonora, registrata nella serata inaugurale, sarà un’amplificazione – o forse sarebbe più corretto dire un’eco – del concetto di rottura? Che cosa “romperesti” del sistema dell’arte?
La mia performance del giorno 14 sarà un approccio alla rottura, ma non so esattamente cosa succederà.
Sarà un tentativo di dialogo con lo spazio. Una performance site specific, perché ogni luogo, ogni architettura ha un proprio modo di assorbire e riflettere il suono. In natura è impossibile ritrovare due acustiche identiche.
Non posso rompere il sistema dell’arte ma posso tentare di rompere i miei sistemi.
Non rincorro il sistema dell’arte perché per ovvie ragioni è e sarà sempre in ritardo, quindi di conseguenza lo sarei anche io.
È importante rompere… ma si può rompere soltanto qualcosa che si padroneggia, che si conosce a fondo.
Ecco, non credo molto nell’idea di costruire artisti tramite il modello universitario.
Non sto certo dicendo che vadano abolite le accademie, ma io, in base alla mia esperienza personale, sono ancora legato all’idea di trasmissione orale dell’arte. A un’arte trasmessa da maestro ad allievo, piena di segreti e di magie da svelare. A un modo di affrontare la produzione artistica legato al saper fare oltre che al saper pensare.
A cosa ti stai dedicando, che cosa ti dedicherai?
Il giorno dopo l’inaugurazione ai Cantieri, con il supporto dell’Ambasciata Italiana, andrò a Cuba, dove sono stato invitato a partecipare alla prossima Biennale dell’Havana 2024.
Ho deciso di creare una connessione con Palermo. Quindi passero un mese all’Havana per studiare la città e capire come riuscire a creare questo link apparentemente impossibile.
Al termine del viaggio tornerò a Parigi dove vivo stabilmente.
A Evangelos Papadopoulos:
Hai realizzato, in dialogo con l’opera multimediale di Librio, un’installazione site-specific. Come è nata questa vostra interazione? Che cosa avete “rubato” l’uno all’altro?
Siamo stati invitati dai curatori Alessandro Pinto e Michael Kortländer dell’associazione Düsseldorf-Palermo e.V. a realizzare una mostra congiunta nella Casa dell’Arte dei Cantieri Culturali alla Zisa. L’idea di riunire diversi movimenti artistici era già presente nelle prime discussioni. Aprire le rispettive discipline. Osare sperimentare, scoprendo così qualcosa di nuovo per il proprio lavoro.
Sono molto felice che Alessandro Librio abbia accettato di partecipare a questo dialogo. Nel lavoro di Alessandro, gli elementi visivi si fondono con elementi performativi e con elementi della sound art e della musica. Poiché il lavoro comune è ancora in corso, potrò riflettere sulla portata dell’influenza reciproca in un secondo momento. Mi piacciono le conversazioni con Alessandro durante la costruzione. Spesso sono anche le cose non verbali, le azioni ad esempio, a favorire questo dialogo. Un filo sospeso qui, un filo di collegamento altrove, oggetti che mi sembrano estranei vengono portati nello spazio espositivo. Il suo modo di pensare il suono in modo spaziale mi ha ispirato molto. Intendere il suono come un materiale per dare forma allo spazio. Un modo di pensare molto scultoreo.
Uno degli aspetti più interessanti dell’architettura palermitana è l’eclettismo, a cominciare dallo stile arabo normanno, coi suoi edifici in cui il vento e l’acqua scorrono liberamente, neanche fossimo immersi in aperta natura. Immagino che le tue installazioni abbiano trovato in tale spazio un ambiente congeniale.
La storia di Palermo è così ricca di eventi e quindi di arte e architettura.
Infatti, i simboli che scorrono, i motivi dell’acqua e del vento integrati nell’architettura presentano sorprendenti parallelismi con le forme dinamiche e fluide del mio lavoro installativo. Ma anche lo stile barocco che rivendica un’intera architettura come opera d’arte totale si ritrova nelle installazioni che si sviluppano nell’intera estensione di ogni spazio espositivo. Sarebbe naturalmente una grande esperienza vedere l’installazione realizzata in uno spazio simile. Per sottolineare le somiglianze ma anche per sperimentare le differenze nel linguaggio della forma e della materialità.
Nel tuo curriculum leggo che hai studiato da ingegnere minerario e metallurgico. Che cosa ti ha suggerito una città che, apparentemente, non nasconde nulla del suo presente e della sua storia, una città senza nulla da rompere (perché tutto è già rotto) come il capoluogo siciliano?
Ho studiato per quattro anni Ingegneria mineraria e metallurgica presso l’Università Tecnica Nazionale Metsoviana di Atene, ma a dire il vero non ho mai fatto l’ingegnere. Ciò che mi ha colpito molto, subito dopo il mio arrivo a Palermo, è stata la posizione geografica della città e la forte presenza delle montagne. Sembrano molto massicce e mostrano apertamente la storia della loro formazione. Si possono percepire le forze che devono aver agito. Gli strati e le tracce del loro divenire. Qui sembra emergere l’influenza degli studi di ingegneria.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Nel mio lavoro mi occupo della forma. Da dove viene? Da quali strati di profondità, ricordi, fonti di forza si nutre la forma? Per me si tratta di dare spazio all’inaspettato, al razionalmente inspiegabile e di percepire per un attimo il carattere enigmatico delle cose nel loro improvviso apparire. È il mistico della nostra esistenza che mi spinge.
Mi sembra che al momento il nostro mondo non ne sia sufficientemente animato. Mi preoccupano le correnti che rifiutano di sognare e che evocano un mondo di separazione e di aggressione.