“Art in Process”, l’indagine sui lavori di Nam June Paik

Si sta per concludere la seconda parte della grande mostra dedicata da Gagosian all’artista coreano antesignano di un nuovo modo di concepire l’arte.

“Il lavoro dell’artista è quello di fare un miglior uso della tecnologia, non di far finta che non esista”. (Nam June Paik)

“Art in Process” è la prima grande mostra newyorkese dedicata al coreano Nam Juke Paik dal 2014. Curata da John G. Hanhardt, organizzatore delle “Historic Retrospectives” presso il Whitney Museum of American Art, il Solomon R. Guggenheim Museum e lo Smithsonian American Art Museum, la mostra rappresenta il secondo capitolo di Art in Process, un’indagine sull’opera e la carriera di Nam June Paik.

La prima parte della mostra si è conclusa il 22 luglio presso la sede newyorkese di Gagosian (555 West 24th Street) . “Art in Process: Part Two” è visibile presso la sede Park & 75 e si concluderà domani il 26 agosto. Qui sono presenti un trio di sculture realizzate negli anni ’80 dall’artista coreano insieme ad altre tipiche della sua produzione come le sue Televisioni. Art in Process è la seconda personale di Paik presso la galleria, che nel 2015 aveva realizzato “The Late Style” a Hong Kong. La mostra è successiva a “The Future Is Now”, retrospettiva organizzata dalla Tate Modern e dal San Francisco Museum of Modern Art (SFMOMA) tra il 2021 e il 2022.

Fondendo un forte interesse giovanile per la musica classica e il successivo avvicinamento alla composizione radicale con un approccio radicale all’estetica e al mondo della performance, Paik realizza lavori multimediali che introducono la tecnologia e il mezzo televisivo nel regno delle arti visive. Nato a Seul, Paik si sposta in Germania dell’Ovest nel 1956, dove diviene un importante membro del gruppo Fluxus. Otto anni dopo va a New York, diventando una figura chiave dei movimenti d’avanguardia degli anni ’60. Grazie anche ad un background di respiro internazionale, l’artista coreano inizia a concepire opere che mettono insieme media tra i più disparati, tra cui scultura, performance, musica e oggetti elettronici. Paik è considerato un pioniere nell’utilizzo dei mass media e dell’intelligenza artificiale, ma soprattutto uno dei primi a concepire l’idea di simbiosi tra corpo umano e componenti tecnologici.

I “satellite works” di Paik, in mostra presso la sede newyorkese della galleria, in forma di proiezioni digitali, erano originariamente apparsi come trasmissioni uniche della televisione pubblica. Una delle opere in esposizione, “Bye Bye Kipling” (1986), è una critica all’anti-multiculturalismo predicato dallo scrittore brittanico Rudyard Kipling attraverso le performance dell’Alvin Ailey American Dance Theater, di Dora Ohrenstein, Lou Reed e TwinArt, le interviste con il compositore Ryuichi Sakamoto e il fashion designer Issey Miyake e un filmato di sumo. In “Wrap Around the World” (1988) David Bowie si cimenta in una performance di “La La La Human Step”s, appare un “Duetto Transpacifico” tra Sakamoto e Cunningham, si notano elefanti che giocano a calcio, gare di Formula 1, il gruppo rock tedesco Die Toten Hosen, una troupe di ballo israeliana i cui membri sono tutti sordi e infine un video dell’assistente di Paik Paul Garrin.

I “satellite works” assumono un’infinità varietà di significati e sono diretta rappresentazione della volontà di Paik di mostrare il potenziale della tecnologia emergente e della distribuzione di massa, fenomeni che si sviluppano proprio negli anni in cui l’artista coreano di trasferisce negli Stati Uniti. Le sculture televisive in “late style”, realizzate in seguito ad un ictus che ha colpito l’artista nel 1996, lo costringono a chiudersi in studio e a limitare i viaggi. Paik si concentrerà sulla realizzazione di questo nuovo tipo di opere e sull’esposizione di esse in galleria. Televisioni vintage in metallo e legno, decorate con pittura acrilica e a olio, acquistano una rinnovata utilità e diventano piattaforme ideali per la riproduzione delle opere video realizzate da Paik nel corso della sua carriera. I numerosi segni lasciati dall’artista su lavori quali Big Eye TV e Ambassador TV (entrambi del 2005) suscitano idee e immagini che si incontrano in uno spazio elettronico, una matrice senza fine di informazioni e interferenze.

La mostra è accompagnata da un catalogo illustrato, con saggi scritti di John G. Hanhardt e Gregory Zinman, oltre che una selezione di rarissime foto d’archivio di Peter Moore che documentano le performance giovanili dell’artista (datate 1964-1977).

ART IN PROGRESS, NAM JUKE PAIKE

Gagosian, 555 West 24th Street

dal 19 luglio al 26 agosto 2022

Didascalia immagine: Nam June Paik, Untitled, 2005, single-channel video (color, silent) in a vintage television with permanent oil marker and acrylic, 18 7/8 × 19 × (47.9 × 48.3 × 47.9 cm) © Nam June Paik Estate