Mio tempo è quando

In questa riflessione sul tempo l’autore suggerisce, attraverso alcuni iconici esempi, come “L’arte parla sempre del proprio tempo, ma non è del tempo”.

I bummi carunu sempri cciu vicinu, i colpi esplodono sotto i nostri piedi. Sentire di persone con cui hai lavorato morte di Covid 19 come l’ex sovrintendente di Ragusa Calogero Rizzuto o lo scultore Giovanni Blandino non è la stessa cosa che ascoltare il bollettino di guerra sdraiati sul divano. La Signora ci conosce, e sta aggiustando il tiro. Viene perciò spontaneo a tanti nascondersi, sparire. Quasi lo scrivere in tempi di coronavirus fosse un modo di attirare l’attenzione del nemico mortale. Di qui la giusta protesta di un recente, sapido corsivo: “l’esibizionismo di coloro i quali ammettono che in questo periodo non riescono né a pensare né a scrivere, dimostra che il loro pensare e scrivere è stato mero esibizionismo. Chi ha lavorato con il pensiero e con la scrittura, in questo momento ha il dovere di lavorare molto più di prima. Se non riuscite a pensare e a scrivere, ciò indica che v’è sempre mancato il desiderio di informare, la capacità critica e il senso dell’ironia. Dunque, è un problema di selezione naturale, cioè un bene per la vita”. Sarà vero? Tirato per la giacchetta dai bambini e barcamenandomi tra le mie videolezioni, non ho saputo fare a meno di rispondere, col mio compianto nonno, “essere non si può più di una volta”: frase dai molti sensi, tra cui “non si possono servire due padroni”, e cioè non si può scrivere e pensare nello stesso tempo. O l’una o l’altra.

A quanto mi risulta, molti scrivono senza pensare, e molti pensano senza scrivere. Dei due preferisco i secondi, e non tanto rallegrandomi per la selezione naturale cui si accennava, che sarei lieto colpisse piuttosto i primi, quanto perché, se ciò che hanno da dire è interessante, potranno comunque farlo in un’altra occasione. Le parole sono pietre: una volta lanciate non è lecito ritrarle. Il silenzio invece è d’oro. Ecco, mi piacerebbe che tutti lo attraversassimo, questo terribile silenzio, con la mente aperta e il cuore spalancato, meditando sulla nostra vita, i contrasti da appianare, le cose che avremmo voluto fare e abbiamo tralasciato. L’arte, oggi, può attendere. Non nel senso che gli artisti smettano di produrla, i mercanti di venderla, i critici di crocifiggerla o esaltarla. È il nostro mestiere e non possiamo permetterci di tradirlo o abbandonarlo. E tuttavia, come insegna la cronaca recente, vi sono circostanze in cui è meglio rallentare – che è cosa molto diversa dal fermarsi – per ripartire poco dopo.

Mentre in Spagna infuriava la guerrilla, Goya incise i suoi Disastri della guerra. Ai piedi di una delle lastre campeggia la frase “io l’ho visto”. Lui c’era, e osservò, ma i Disastri esordirono decenni più tardi. Hanno forse smarrito una briciola del loro vigore? L’arte parla sempre del proprio tempo, ma non è del tempo. Quando sta troppo in campana – penso ai dipinti traboccanti virioni del pur bravo Giuseppe Veneziano – non si distacca dal grottesco di una famosa infettivologa che, presentando il Covid come una semplice influenza, blaterava del ciondolo a forma di virus che avrebbe chiesto al gioielliere a peste terminata. E che dire di Sgarbi che, dopo aver pontificato che il virus non esiste, ha dovuto rimangiarsi tutto e chiudersi in cantina?

Molto più sensato l’atteggiamento di un’artista siciliana, RE, che, anziché lasciarsi affliggere da Vespa o da Travaglio, sta tentando un Esperimento di libertà temporale: puntare l’orologio tre ore indietro. “Nonostante i nostri limiti di spazio imposti”, spiega, “il tempo è ancora e sempre nostro”. Ma come costringersi a sognare? È questo il dovere dell’artista, ammesso ne abbia uno? Qualora riesca a vincere la morte, RE è pregata di farcelo sapere.

Nel frattempo, tra una medicina e l’altra, consoliamoci con la solidarietà digitale di Apple o di Sky Arte o con l’ultima – altrimenti detestabile – mostra virtuale. O, se ci amiamo davvero, recitiamo sommessamente, con felice convinzione, questa lirica sublime di Vinicius de Moraes: “Di mattina abbuio / Di giorno attardo / Di sera annotto / Di notte ardo. / Ad ovest morte / Gli vivo contro / Del sud captivo / Mio nord è l’est. / Gli altri computino / Passo per passo / Io muoio ieri / nasco domani. / Vado ov’è spazio / – Mio tempo è quando”.  

RE, La consapevolezza dell’attimo genera il giudizio, reverse on glass 2019, 60×80