Il primo racconto (e l'ultimo), 1996-2015. Ph Giorgio Benni

L’essere e il divenire raccontati da Mariella Bettineschi

Dirompenti e disarmanti, catturano lo sguardo per l’incredibile potenza eversiva generando un misterioso effetto perturbante, gli icastici ritratti elaborati da Mariella Bettineschi ne L’era successiva, la serie che potrebbe indentificarsi come il filo d’Arianna di un articolato percorso artistico, e che difatti dà il titolo alla mostra ospitata dalla z2o Sara Zanin. Attraverso un’esaustiva selezione di opere, “L’era successiva e altri racconti” abbraccia – con l’efficacia di una piccola ma significativa antologica – oltre un quarantennio di sperimentazioni condotte dall’artista bresciana, restituendo il profilo di una personalità autentica e intensa, sempre credibile in ogni fase della sua produzione.

Senza mai tradire la propria individualità espressiva, ed evitando il rischio di uniformarsi a pratiche riconosciute come canoniche e tradizionali del movimento femminista, tra cui la performance e la body-art, fin dagli anni Settanta la Bettineschi ha costantemente dimostrato coerenza nel perseguire una linea di ricerca autonoma, confermata da esiti originali e spesso inconsueti. Se da un lato l’artista esclude la possibilità di esprimersi attraverso il linguaggio del corpo umano, dall’altro ne esplora un’altra tipologia, svelando la corporalità intrinseca di alcuni materiali legati all’universo femminile, e sceglie accuratamente certi tessuti, come le organze di cui si serve per realizzare nei primissimi anni Ottanta la serie dei Piumari. Vere e proprie strutture dalla leggerezza estrema, soprattutto compositiva, che racchiudono il vissuto personale di quel periodo in una concatenazione di ambivalenze, atteggiamento tipico di tutta la poetica della Bettineschi: profondità e superficie, interno ed esterno, percepibile e semi-visibile, sedimentazione e impalpabilità interagiscono con rigoroso equilibrio, senza mai interferire tra loro. Un senso di ambiguità che si coglie anche nell’andare oltre pittura, scultura e disegno, per come sono convenzionalmente intesi. Tuttavia è l’utilizzo dell’oro la soluzione formale più densa di rimandi simbolici, che conferisce a queste scatole la sacralità di preziosi reliquiari. Se nei Piumari il pigmento dorato dà corpo al filo caricandolo di un’espressività segnico-grafica, nella serie dei Morbidi sublima la relazione tra logos e forma, e affida la parola e il pensiero al campo dell’immagine, intenzione che si fa più esplicita quando in De imaginationis loco il formato orizzontale assume valenza narrativa. Una funzione che ha conosciuto ulteriore sviluppo nella serie Nuovi racconti: la stratificazione di trasparenze incorpora figure antropomorfe che affiorano sulle superfici dei cuscini ricamati a mano, mentre i fili non vengono tagliati ma restano volutamente liberi, di rimanere sospesi o di cadere. Un alternarsi di sfondi e di primi piani, di retrovie e di contorni, di attori principali e comparse ben più evidente in Selfie del 2019, chiaro riferimento al Vaso di Rubin, in cui al filo è affidata la duplice accezione di legame e autonomia, unione e distacco al pari dell’intrigante e allusiva piuma protagonista ne Il primo racconto (e l’ultimo). In questo continuo scandagliare la natura tangibile dell’ordinario, il lavoro della Bettineschi, così sensibilmente intellettuale, travalica il diretto e l’immediato, elevandoli a un antistoricismo che pervade tutta la sua produzione. Nel proiettare lo spettatore in un tempo non lineare – ben lontano dall’empirico concetto di Kronos – l’artista si rende artefice di una visione che indaga l’origine e la mutevolezza delle cose. 

Il ricorso alla fotografia a partire dagli anni Novanta segna uno stacco determinante, che le consente di approdare a una sintesi ancora più compiuta e risolta. Ne La Biblioteca Malatestiana, Cesena del 2016 il presente si addensa in uno spazio-tempo cristallizzato dal bianco e nero, si amplifica fino a dissolversi, ponendo l’osservatore nella dimensione del già vissuto, ma soprattutto davanti alla necessità di osservarsi dall’esterno. Un approccio che nei ritratti de L’era successiva fuoriesce in maniera più incisiva dal disorientante riverbero degli sguardi: echi visivi che alludono al continuo nascere e morire delle cose; all’unicità di ogni esperienza che nel suo possibile ripetersi non sarà mai uguale a sé stessa, all’impossibilità, secondo l’eracliteo concetto del tempo, di immergersi due volte nello stesso fiume. Con discrezione e senza alcun intento provocatorio Mariella Bettineschi dà immagine, forma e sostanza a verità destabilizzanti per quanto incontrovertibili; ma lo fa con purezza e leggerezza, e con l’assoluta eleganza di cui è portatrice tutta la sua arte, risultando per questo immensamente più efficace e sovversiva.  

Fino al 16 marzo
Dalle 13.00 alle 19.00 

In occasione del finissage la galleria ospiterà alle 18.30 un talk con la partecipazione di Mariella Bettineschi, in conversazione con Paola Ugolini e Angelica Gatto.