Harmonìā: residenza artistica a Viterbo di Silvia Mantellini Faieta

“La libertà significa essere dono in duplice senso; libero è l’essere che accoglie-riceve se stesso e,
allo stesso tempo, che offre se stesso” (M. Spólnik in “L’incontro è la relazione giusta”)

Conosco Silvia Mantellini Faieta a Il Cosmonauta di Viterbo. È il 22 ottobre. L’occasione è quella della serata conclusiva della residenza artistica congeniale al progetto itinerante a cura di Marco Trulli e Cantieri D’Arte “Periferica”, atto a radicare nuove visioni nei quartieri della città. Silvia si accende una sigaretta, poi mi stringe la mano e sorride a suoi ospiti. È accogliente, è sincera. Mi siedo e inizio ad addentrarmi nella visione del video che ha realizzato durante la sua permanenza in città per le strade dello storico quartiere di Pianoscarano, dove ha raccolto voci, suoni, rumori e gesti degli abitanti che popolano la quotidianità “periferica” appunto, e di cui si conosce sempre troppo poco.

Il titolo del video è Harmonìā, e l’incipit posa sullo scambio di gestualità e dialogo tra l’artista e un uomo, per poi lasciare che lo sguardo spalanchi verso un fermo-immagine del cielo. Tutto sembra tacere per pochi secondi, dopo i quali la scena accelera, tornando a riempirsi degli stimoli che Silvia è riuscita a percepire come significativi nella relazione con l’Altro. Ed è qui che la narrazione comincia a dipartirsi, espandendosi e contraendosi vicendevolmente a ritmo della strada percorsa, della gente incontrata, nella pneumatologia di una parola che non sempre sa dirsi.

Frame dopo frame, 14 minuti e 25 secondi in tutto, lo spettatore reale diviene chi riesce a identificarsi ora con il ritmo pulsante dei passi spensierati dell’intuito, ora con l’impatto del basolato di spazi razionalizzati, che collocano il ‘passante’ in un processo di umanizzazione del fare artistico, per molti slegato al fare quotidiano, ma che nell’opera di Silvia riesce a riconfigurarsi come nella spontaneità e nell’immediatezza di un respiro.

Sono immagini, nel senso più genuino del termine, ma anche micro-narrazioni che urlano l’urgenza di fuoruscire dai margini dello schermo, per irrompere –ma con cautela- nella geometrizzazione spesso troppo controllata della Stimmung, ovvero della distanza che si interpone tra l’Io pensante e ciò che rappresenta.

Relazione, così come incontro: Silvia Mantellini Faieta decide di esplorare una periferia dell’anima entro cui le parole tendono a relegarsi nel silenzio, senza per questo costringere il linguaggio verso un impetuoso antropomorfismo di senso.

“Quello che esiste fuori dal nostro corpo, per essere capito, superato ed equilibrato, deve passare attraverso il corpo stesso”, le parole sono di Silvia e l’accento, a mio dire, potrebbe porsi proprio nell’attraverso, isola di passaggio circondata dal tumultuoso mare degli istinti e a cui si approda con il residuo di ciò che ci si lascia alle spalle, senza per questo perderne memoria.

Penso alla realizzazione dell’artista impegnata nella performance Asking for Love all’interno della mostra Visioni S(v)elate, a cura di Elma Bray, durante la quale Silvia con penna UV trasparente e lasciandosi abbracciare di spettatore in spettatore, chiedeva di poter appuntare sul dorso della loro mano la scritta Amami, visibile solo nell’istante dell’illuminazione da parte dell’artista.

“La richiesta d’amore necessita di consenso”, si legge nel testo critico a corredo della mostra; ed è proprio nel consenso, dunque, che la manifestazione del sentimento può rendersi, tanto nel rapporto interpersonale quanto nello scompiglio benefico che procura ogni incontro privo della compulsività dell’Ego e sempre a favore di una rivelazione cauta e altruista.

Vite interconnesse, anche se distanti e l’Arte come veicolo di trasmissione di senso-ritrovato, in una prospettiva di restituzione della realtà plurisensoriale, così Silvia persegue la propria ricerca artistica nel territorio forse più minato, quello entro cui la visione dell’incontro può spesso inquinarsi, ovvero quando trova innanzi lo sconfinamento degli stereotipi sociali e delle barriere della diffidenza e dell’incomunicabilità fine a se stessa.

Il processo artistico di Silvia, o per meglio dire, la fenomenologia atta a emergere dallo stesso, non conosce la distanza tra il centro e la periferia di una città, che anzi ne scavalca del tutto il disorientamento tra i confini, al punto da saper rimescolare le fasi della vita con la musicalità della vita stessa.

Periferica

Residenza artistica Paradosso

A cura di Marco Trulli e Cantieri D’Arte

Viterbo

in collaborazione con:

ATCL, Il Cosmonauta, Progetto CEET

Sito dell’artista: https://www.silviamantellinifaieta.com/