Francesco Alberico

Francesco Alberico intervistato da Lorenzo Kamerlengo per The Hermit Purple, Luoghi remoti e arte contemporanea su Segnonline.

Parlami di un tuo maestro, o di una persona che è stata importante per la tua crescita.

Un maestro, o meglio maestra, molto importante per la mia crescita è stata l’artista Bruna Esposito, che ha tenuto per diversi anni il corso di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di L’Aquila. Averla come docente è stata per me un’esperienza fondamentale. È difficile spiegare in breve le motivazioni di questa scelta. Durante le sue lezioni si alternavano conferenze e discussioni in aula, tenute sia da lei che da noi studenti, su artisti di varie epoche e sui nostri lavori, letture di testi di autori, poeti e filosofi (penso ad esempio a Cesare Ripa, Leonardo Da Vinci, Fausto Melotti, Amos Oz, Joseph Beuys, Leopardi, Herman Hesse per citarne alcuni), ascolti musicali, uscite tra l’Aquila e Roma, progettazione di piccole mostre, momenti di festa in aula… Tutto questo insieme al suo invito al fare, al non rimanere incastrati nei propri flusso di pensieri e ragionamenti ma all’accompagnare ad essi una sperimentazione nella materia, senza paura di sbagliare, aperti ad un percorso di scoperta. Ci spronava poi a collaborare con altri artisti o con persone di professioni differenti, per non limitarci alla propria ricerca o ai
propri modi di pensare, ma per spaziare verso terreni sconosciuti e di contaminazione. Attraverso questo metodo è riuscita quindi a creare in un’aula, anche piuttosto piccola, un luogo veramente intenso e carico di energie, dove ho trovato, insieme a vari miei compagni di corso, un terreno molto fertile sul quale crescere. Non posso dimenticare quando io e una mia compagna di corso andammo a Roma, presso una scuola americana di arte e design, dove Bruna fu invitata a tenere una conferenza sul suo lavoro per gli studenti dell’istituto. Fu una grande lezione vedere come, prima della conferenza, fosse così tesa e carica allo stesso tempo. Un’artista come lei, che aveva partecipato a mostre di altissimo prestigio in varie parti del mondo, davanti a degli studenti si mise in gioco con un’umiltà ed una serietà incredibili. Una conferenza stupenda, dove vidi che significa prendere sul serio e dare valore a ciò che si fa ma anche a chi si ha di fronte.

Quali sono secondo te il tuo lavoro/mostra migliore ed il tuo lavoro/mostra peggiore? E perché?

Mi è difficile dare una risposta a questa domanda, visto che dubito sia possibile mettere in una graduatoria lavori che appartengono ognuno al suo tempo e, spesso, allo spazio che gli ha ospitati. Posso dire però che un lavoro che amo particolarmente è “Inoperosi”, realizzato nel 2018 per la mostra Straperetana, un progetto di Paola Capata e Delfo Durante a cura di Saverio Verini. L’opera è un installazione composta da un insieme di comignoli eolici, circa dieci, di varie forme e finiture, poggiato su
una piccola scalinata che si trovava lungo il percorso esterno della mostra (ci troviamo a Pereto, un borgo sul confine tra Abruzzo e Lazio). Visitando il paese ero rimasto molto colpito dal gran numero di comignoli che si potevano osservare sui tetti. Molti di essi erano in disuso, visto lo spopolamento tipico di queste zone rurali. Quel roteare al vento, senza un’utilità, di alcuni di essi mi sembrò allora un’immagine molto feconda.
Muoversi, ma rimanendo sullo stesso posto, riflettere la luce del sole girando alla brezza del vento. Questi oggetti metallici, poggiati su quella scalinata, un po’ come un gruppo di persone in attesa, acquisivano per
me un valore simbolico, un rimanere improduttivi ma allo stesso tempo un compiere un’azione poetica. Forse un po’ come chi vive in borghi come quello, svincolato dai ritmi accelerati delle grandi città, in un agire che torna a fondersi con gli elementi della natura e con un senso più vivo di comunità. Vi ho parlato di questo lavoro perché trovo interessante il modo con cui ha preso forma. È stato incredibile innanzitutto il fatto che stessi cercando un alto numero di comignoli eolici di seconda mano, articolo molto raro da trovare, e misteriosamente in un mercatino dell’usato di L’Aquila, dove abitavo, venne messo in vendita questo cumulo di comignoli metallici, proprio della tipologia che cercavo (mi divertii molto a viaggiare con una Panda piena di questi affari). Poi, arrivato il giorno dell’allestimento, con un’idea abbastanza flessibile su come li immaginavo nello spazio, iniziai a lavorare sul posto con il curatore per disporli. Non ci conoscevamo, ma seguendo i suoi consigli, quest’istallazione trovò una collocazione perfetta. Fu un esempio molto chiaro per me del valore che può guadagnare un’opera attraverso momenti di collaborazione con altri punti di vista, del compiere un atto di fiducia. Uno dei lavori che invece non amo affatto fu un’assemblaggio che realizzai appositamente per la
partecipazione ad un concorso che ora non sto a specificare. Avevo, in particolare in passato ma un po’ anche ora, una forte attrazione verso bandi di premi e cose simili. Mi fissai con il voler partecipare a questo bando,
per il quale avrei dovuto realizzare appositamente un opera con delle specifiche caratteristiche. Il tempo non era molto e non riuscii a produrre nulla di interessante, solo un assemblaggio di dubbie qualità. Era un lavoro
di cui non ero convinto, ma nonostante questo inviai la scheda dell’opera. Non venne selezionata. Ringrazio la giuria per aver fatto la scelta giusta.

Se ti ritrovassi su un’isola deserta, proseguiresti la tua ricerca artistica? Se sì, in che modo?

Non mi piacerebbe affatto l’idea di ritrovarmi su un’isola deserta e spererei di essere salvato il più presto possibile. Mi darei da fare per poter sopravvivere e cercherei di segnalare attraverso i mezzi e i materiali
disponibili la mia presenza sull’isola (penso alla scrittura di grandi parole sulla sabbia e sul terreno e all’accensione di fuochi), nella speranza che attraverso i potenti mezzi tecnologici di oggi possano trovarmi. Tutte queste attività di segnalazione della mia presenza, insieme alla realizzazione di utensili e di un riparo, comporterebbero un utilizzo ed uno studio del materiale disponibile. Questo insieme di sperimentazioni tecniche possono essere considerati parte di una ricerca artistica, nel caso venissero poi applicate per la realizzazione di un’opera? O la ricerca artistica è tale solo se in relazione con un altro diverso da sé, anche nella fase appunto di ricerca? Forse, nel caso riuscissi a sopravvivere per un tempo prolungato, continuerei anche a disegnare e a plasmare qualche piccolo viso, come faccio fin da quando son bambino, e ad appuntarmi qualche frase, ma, come dicevo prima, se su quest’isola non verrà nessuno a salvarvi o a trovare il mio cadavere insieme a queste cose, non so se sono cose che rientrerebbero nell’ambito di una ricerca artistica.

In che modo sta influendo l’isolamento di questo periodo su di te?

Abito in una casa con molto spazio esterno e della campagna adiacente, quindi vivo questo isolamento in una condizione di grande agiatezza. La chiusura quasi totale in questo ambiente domestico ha fatto si che trovassi
molto più tempo per dedicarmi a molte attività che amo, penso alla lettura, al disegno, alla pittura, e poi in particolare all’agricoltura. Riguardo a quest’ultima mi stimola molto il fatto che ogni giorno è possibile trovare delle novità sul terreno. C’è un continuo generarsi di nuove immagini, oltre che di piante, sia volontario che involontario. Accendi un irrigatore e spunta un arcobaleno sull’insalata. Scavi una buca e riaffiorano frammenti di ceramica degli anni ’60. Hai bisogno di creare dei confini tra una coltivazione e l’altra e gli scarti di una potatura assumono una funzione, quattro rami infissi nel terreno acquistano una voce. Trovo veramente interessante dal punto di vista artistico questo confine molto labile tra un’attività puramente tecnica ed una poetica, e i momenti in cui accade una fusione o un accavallamento tra le due. In questi giorni vivo la campagna come questo confine, un territorio ideale dove sto raccogliendo, insieme agli ortaggi, molte nuove idee per opere e progetti. È una scelta politica questo tentativo di produzione autonoma dei beni di cui si ha bisogno, un provare ad essere attivi all’interno della società, a non accontentarsi passivamente di ciò che offrono gli altri. È per me una questione profondamente legata alla produzione di un’opera d’arte, è il sentire il desiderio di essere presenti, di proporre posizioni e visioni personali all’interno di una società, di non fermarsi all’immaginario e ai punti di vista puramente altrui. Tra i libri che ho letto in questo periodo c’è Il fanciullino di Giovanni Pascoli, un testo che nonostante abbia oltre centovent’anni, sento veramente attuale ed importante, in particolare in riferimento all’atteggiamento ed al ruolo che il poeta può assumere all’interno della nostra società. Trovo molto fecondo questo pensare alla poesia come ad una voce anonima che si fonde con il mondo, lasciandovi giusto un accento, uno
spostamento minimo ma vitale. È una lettura che vi consiglio.