FOTOELETTRICO: la mostra di Alessandra Cecchini e Chiara Fantaccione da MA間Project. Intervista al curatore Davide Silvioli

Fino a oggi è in corso la mostra “Fotoelettrico” di Alessandra Cecchini e Chiara Fantaccione presso MA間Project a Perugia.

MA間Project, studio condiviso e spazio di ricerca artistica al centro della città di Perugia, ospita, quale primo progetto del 2023, Fotoelettrico, mostra di Alessandra Cecchini e Chiara Fantaccione, a cura di Davide Silvioli.
Relativamente alla programmazione dell’artist-run space, protesa al dialogo con altre personalità e realtà attive nello scenario artistico contempornaeo, la mostra raccorda una cerchia di opere inedite, che, eseguite dalle due artiste per relazionarsi in questa circostanza e coesistere nell’ambiente espositivo, ne estendono il rispettivo orizzonte di ricerca.

Francesca Policastri: Da dove nasce il titolo della mostra e cosa intende trasmettere?

Davide Silvioli: Il progetto, difatti, già a partire dalla titolazione dichiara lo spettro di riferimenti, tanto teorici quanto pratici, di cui le opere sono portavoce. L’aggettivo “fotoelettrico” è composto da una coppia di termini che, singolarmente, rinviano, nello specifico, sia ai lavori qui inclusi che, più in generale, ad alcuni aspetti portanti dei linguaggi delle autrici. La parola “foto” rimanda, comunemente, alla pratica della fotografia, condivisa da entrambe, e, di riflesso, alla classe estetica dell’immagine con tutte le implicazioni che, oggigiorno, la riguardano. Inoltre, la stessa deriva dal greco antico “photòs” che significa “luce”; elemento centrale dell’esperienza di visita, nonché dei lavori proposti. Da parte sua, “elettrico” richiama la costituzione di quest’ultimi, poiché i dispositivi che vi sono alla base, o in fase di creazione o per la loro espressione, hanno sfruttato o sfruttano i principi endogeni dell’elettricità, qualificando la carica elettrica che ogni materia spontaneamente detiene dentro di sé a fattore sostanziale del linguaggio delle opere, tale da stabilire una corrispondenza perfetta fra la fisica di questi lavori e i contenuti su cui gli stessi vertono.

FP: Attraverso quali modi e quali contenuti, allora, questo senso di crisi del reale si manifesta nelle opere di ogni artista?

DS: Le realizzazioni a disegno del dettato espositivo dimostrano la proprietà di saper coniugare mezzi innovativi con tecniche consolidate. Esse esplicitano orientamenti plurali che vanno dall’installazione alla scultura, alla fotografia digitale, al video, transitando per la sperimentazione sui materiali e passando attraverso l’ibridazione di tecniche per convenzione diversificate, fino a giungere a porre in stato di crisi la realtà, la sua rappresentazione e la relativa percezione.
Nel merito dei lavori della Cecchini, la percezione del mondo, filtrata dalle immagini e in bilico fra reale e simulato, costituisce il nucleo tematico. Si veda, pertanto, come i volti raffigurati nell’opera “You will never get me” corrispondono all’esito di un processo d’apprendimento e di riformulazione svolto automaticamente da una macchina, che li ha prodotti sulla base di un gruppo di immagini di partenza, scelte a priori dall’artista perché, secondo il funzionamento di motori di ricerca online, somiglianti a suoi autoritratti. Le anomalie fisiognomiche e le deformazioni che connotano l’incarnato dei soggetti rispecchiano la fallibilità del sistema informatico utilizzato, incapace di riconoscere imperfezioni e irregolarità che, invece, sono palesi all’occhio umano. Il medesimo ragionamento sull’immagine e la relativa ipertrofia digitale è a fondamento anche del suo video “The closer I get the more I disappear”, in cui volti ottenuti dalla macchina, deformati dall’autrice così da renderne l’identità ancor più enigmatica, vedono in fase di animazione l’impiego di applicazioni per la tecnica del deepfake.
La destabilizzazione della la realtà oggettiva in correlazione all’indole dell’immagine digitale continua nell’operato della Fantaccione, la quale, insistendo sulle analogie e le difformità, ne testa le possibilità reciproche di interferenza e di sovrapposizione. Le sue realizzazioni ripropongono in termini concreti, materiali e tecnici i procedimenti che si praticano digitalmente durante l’attività di postproduzione fotografica, combinando oggetti, fotografie e strumenti tecnologici. Invero, la sua installazione ambientale “Still looking for the right balance” replica degli attributi di un paesaggio montano, riconoscibili negli espedienti usati quali i pali segnaletici e la vegetazione. Queste componenti, tuttavia, vengano svuotate delle loro peculiarità, delineandosi come elementi indefiniti sulla superficie del visibile, poiché i pali perdono la loro funzione di punto di riferimento e le piante che vi giacciono ai piedi, accostate a loro surrogati, si avvertono per il carattere straniante e di succedaneo. Si tratta dello stesso senso mimetico ravvisabile in “Nature light changes colour”, dove la forma frattale, distintiva dell’universo biologico, viene tradotta nelle sembianze artificiali di una scultura che si ramifica al pari di un albero. Ottenuta con pvc e filamenti di fibra ottica, l’opera si manifesta come un’apparizione onirica, dovutamente alla qualità fotonica e infrasottile della luminescenza, il cui gradiente evoca quello di un monitor.

FP: Dunque, così tratteggiate, in che modo le opere condividono lo spazio espositivo?

DS: All’interno dello spazio destinato alle mostre temporanee di MA Project, le opere delle due artiste, soprattutto in rapporto alla conformazione strutturale del luogo, sono andate a relazionarsi spontaneamente con le sue poche ma ben presenti connotazioni architettoniche. Ciò rappresenta il risultato del fatto che alcuni dei lavori in esposizione possiedono naturalmente la facoltà di calibrarsi su una scala ambientale, istituendo un dialogo molto serrato con particolarità del contesto che li accoglie. Ne è prova la restituzione dal taglio immersivo, a misura della sala ospitante, originata dalla videoinstallazione della Cecchini, la quale conferma un’attitudine significativa a lavorare in risposta allo spazio pure laddove le griglie di ferro facenti parte di “You will never get me” collimano letteralmente con le pareti dell’edificio.
Similmente per la Fantaccione, l’ascensionalità che “Still looking for the right balance” acquista grazie ai già citati pali segnaletici, pone la realizzazione in sinergia con il marcato sviluppo verticale del posto. Sinergia che, sempre nei riguardi di quest’ultimo lavoro, giunge a una condizione di permeabilità totale grazie all’alterazione luminosa che è parte integrante dello stesso, che termina nel contaminare concretamente l’esperienza di visita.
Fra loro, invece, è interessante cogliere come le opere, pur considerando le specificità di sorta, stabiliscano legami sì di unità ma che sono determinati dalla sussistenza di differenze effettive. Se tale senso di unità tra i lavori esposti è dovuto alla condivisione da parte delle artiste dello stesso proposito di ricerca, si veda come, per converso, siano proprio le individualità che troviamo nei rispettivi registri espressivi a conferire all’esposizione una configurazione siffatta. Ne è un esempio la comparsa della figura umana solo nelle opere della Checchini, diversamente da quelle della Fantaccione dove domina il riferimento alla dato naturale.

FP: In mezzo a spunti e chiavi di lettura tanto differenti, qual è l’indole più imprescindibile del progetto di mostra, che Fotoelettrico vuole comunicare?

DS: Fotoelettrico intende sottolineare che quanto di vede visitando una mostra è sempre il risultato di una relazione: quella tra le opere e lo spazio, fra lo spazio e il visitatore, fra il visitatore e le opere. Infine, più in controluce, il progetto argomenta che vista e visione si posso equivalere e che ogni nuova frontiera, in arte, ha radici storiche, comportando con sé un ritorno di stralci rimossi di memoria.

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