Steve McQueen Static, 2009 (still) Film 35 mm a colori, trasferito su video HD, suono, 7’ 3’’ © Steve McQueen Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery e Marian Goodman Gallery

Luogo

Pirelli Hangar Bicocca
Milano

Data

Mar 31 2022 - Lug 31 2022
Evento passato

Ora

10:30 - 20:30

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Mostra

Steve McQueen – Sunshine State

Pirelli HangarBicocca presenta dal 31 marzo al 31 luglio 2022 la mostra “Sunshine State”, dedicata a Steve McQueen, artista e film-maker vincitore del Turner Prize e del premio Oscar.

Il progetto espositivo, che si sviluppa nello spazio delle Navate e su una delle pareti esterne, raccoglie alcuni dei lavori più importanti della carriera di Steve McQueen e include la nuova installazione video, Sunshine State. Nella sua mente da più di vent’anni, l’opera è stata commissionata dall’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022 e proposta in anteprima assoluta in Pirelli HangarBicocca.

Celebrato come uno dei più importanti artisti e film-maker contemporanei, Steve McQueen (Londra, 1969; vive e lavora tra Londra e Amsterdam) ha influenzato in maniera decisiva il modo di utilizzare ed esporre il mezzo filmico, rivolgendo il suo sguardo radicale sulla condizione umana, i suoi drammi e la sua fragilità, e cogliendo in modo toccante e provocatorio questioni attuali come la costruzione dell’identità̀, il senso di appartenenza, il diritto alla libertà.

“Sunshine State” è un’esperienza immersiva nel linguaggio visivo dell’artista che da sempre persegue l’obiettivo di comprendere e penetrare il reale e il senso più profondo dell’esistenza. I lavori esposti – sei opere filmiche – tra i più rilevanti del percorso di McQueen, rappresentano modelli narrativi liberi e punti di vista inaspettati sulle più ampie e trasversali sfumature dei contesti sociali storici e contemporanei.
In oltre venticinque anni di carriera Steve McQueen ha realizzato alcune delle opere più significative nel campo delle arti visive, utilizzando il medium filmico come forma scultorea in movimento nello spazio e nel tempo. Nel 1999 ha vinto il prestigioso Turner Prize. Ha inoltre diretto quattro lungometraggi per il cinema: Widows – Eredità criminale (Widows) (2018), 12 anni schiavo (12 Years a Slave) (2013), per il quale ha vinto l’Oscar per il miglior film, Shame(2010), Hunger (2008), con cui ha vinto la Caméra d’Or al Festival di Cannes. Nel 2020 ha realizzato la sua prima mini-serie in cinque episodi Small Axe, e recentemente i documentari per la BBC Uprising (2021), Black PowerA British Story of Resistance (2021) e Subnormal: A British Scandal (2021).

La mostra
Curata da Vicente Todolí, “Sunshine State” è organizzata in collaborazione con Tate Modern, Londra, dove l’artista aveva presentato una prima versione, dal titolo “Steve McQueen”, dal 13 febbraio al 6 settembre 2020. Per Pirelli HangarBicocca, McQueen ha concepito un apposito progetto espositivo e una nuova selezione di opere che si sviluppa negli spazi delle Navate e del Cubo e sull’esterno dell’edificio. Attraverso un percorso non cronologico, la mostra intende ripercorrere la carriera di Steve McQueen nelle arti visive, mettendo in luce l’evoluzione della sua pratica degli ultimi vent’anni.

Il titolo della mostra prende spunto proprio dall’omonimo lavoro inedito dell’artista, Sunshine State (2022), commissionato e prodotto dall’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022 e presentato in anteprima assoluta in Pirelli HangarBicocca. Questo video è una riflessione sugli esordi del cinema hollywoodiano e su come il grande schermo abbia influenzato profondamente la percezione e la costruzione dell’identità.

Il percorso espositivo si apre con Static (2009). Proiettate su un grande schermo, sospeso al centro della Piazza, si avvicendano in rapide sequenze riprese aeree della Statua della Libertà di New York. Le disorientanti immagini ravvicinate del monumento ne mettono in discussione la funzione simbolica e colgono il senso di instabilità e precarietà dell’idea di libertà individuale del mondo occidentale. Il film fa da contraltare al lavoro presentato nel Cubo e che chiude la mostra, Western Deep (2002). L’opera conduce lo spettatore nelle profondità della miniera d’oro di Tau Tona in Sudafrica, conosciuta durante l’apartheid come “Western Deep”, e offre un amaro spaccato delle dure condizioni lavorative dei minatori. Realizzate in pellicola Super- 8, le riprese sgranate mostrano un’ambientazione claustrofobica e buia che si contrappone a una visione più aperta e allegorica del primo lavoro.

Western Deep nasce in concomitanza con un altro film dell’artista, Caribs’ Leap (2002). Il lavoro è suddiviso in due parti: una è trasmessa su uno schermo LED sulle pareti esterne delle Navate, l’altra è proiettata all’interno dello spazio espositivo. Il titolo fa riferimento al drammatico momento storico della conquista francese di Grenada, l’isola dei Caraibi da cui provengono i genitori di McQueen, nel 1651. Piuttosto che sottostare al governo coloniale, alcuni dei resistenti e ribelli locali preferirono gettarsi da una scogliera (Caribs’ leap), scegliendo la morte rispetto alla prigionia e alla schiavitù. Il film affronta il tema della razzializzazione e disumanizzazione del corpo nero e indigeno, colonizzato e schiavizzato.

In Charlotte (2004) Cold Breath (1999) Steve McQueen esplora il corpo nelle sue dimensioni più intime e materiali. Il primo dei due film, girati in pellicola, presenta un close-up dell’occhio dell’attrice Charlotte Rampling. Il dito dell’artista entra nelle riprese, toccando momentaneamente la palpebra e la pupilla della donna. McQueen invita lo spettatore a diventare testimone della scena, rappresentando gli aspetti più voyeuristici dell’atto di guardare la trasformazione di un corpo da soggetto a oggetto fisico e manipolabile. Similmente, Cold Breath mostra il film-maker che accarezza, tira e stringe il suo stesso capezzolo. Il movimento ossessivo delle dita rivela i confini labili tra desiderio e violenza, tra piacere e dolore.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo, disegnato da Irma Boom, sulla produzione dell’artista negli ultimi vent’anni, che presenta una ricca documentazione fotografica e i contributi scritti di: Paul Gilroy, Cora Gilroy-Ware, Solveig Nelson, Hamza Walker.

Curata da Vicente Todolí, la mostra è organizzata in collaborazione con Tate Modern, Londra, dove nel 2020 è stata presentata una prima versione a cura di Clara Kim, The Daskalopoulous Senior Curator, International Art e Fiontan Moran, Assistant Curator, International Art.

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