Post Scriptum. Un museo dimenticato a memoria
“Dimenticare a memoria” è un’espressione coniata alla fine degli anni Sessanta da Vincenzo Agnetti (1926-1981). Il titolo della collettiva che conclude la programmazione del MACRO con la direzione artistica di Luca Lo Pinto la prende in prestito per suggerire l’approccio agli esiti di un progetto che in cinque anni ha portato l’istituzione museale a interrogarsi sulla propria identità, le proprie modalità di produzione e relazione con gli artisti e il pubblico.
Il museo si riflette in una mostra, diffusa in tutta la sua architettura, in una superficie di oltre 10.000 metri quadri. Le opere sono quelle di oltre 30 artisti italiani e internazionali, tra cui quelle prodotte per l’occasione di Tolia Astakhishvili (con Thea Djordjadze, Heike Gallmeier, Dylan Peirce), Maurizio Altieri, Beatrice Bonino, Francesca Cefis e Lukas Wassmann, Pippa Garner, Lenard Giller, Félix González-Torres, Thomas Hutton, KUKII (aka Lafawndah), Rosemary Mayer, Charlemagne Palestine, Lorenzo Silvestri, Gillian Wearing.
Tra le altre opere esposte quelle di artisti storicizzati, come Luciano Fabro, Isa Genzken, Simone Forti, e di alcune delle voci più affermate della giovane scena artistica come Issy Wood, insieme all’opportunità di incontrare figure viste più raramente, come Pierre Guyotat o Absalon, o che hanno portato una prospettiva artistica nella moda, come Maurizio Altieri, e nel design, come Paolo Pallucco & Mireille Rivier, o ancora artisti emergenti come Hamishi Farah e Sandra Mujinga.
Post Scriptum. Un museo dimenticato a memoria è una mostra speculare a Editoriale, la collettiva diffusa in tutto il museo con cui nel 2020 si era aperta la programmazione dichiarandone gli intenti e le direzioni. Seguendo la metafora di un magazine, il progetto si è sviluppato per cinque anni con l’impianto editoriale di otto sezioni tematiche corrispondenti alle diverse sale del museo. Alcune hanno indagato l’idea stessa di mostra, altre l’hanno sfidata nelle sue convenzioni, includendo nella dimensione espositiva figure fuori dal sistema, e linguaggi altri, come il design, la musica, l’editoria: un palinsesto che si è composto di oltre 60 mostre, con il coinvolgimento di 250 artisti, sotto il titolo unitario di Museo per l’Immaginazione Preventiva.
Se il concetto di museo è intrinsecamente legato all’idea di Storia, qui l’istituzione stessa è stata concepita
come una mostra sperimentando un approccio poetico rispetto a l racconto lineare, uscendo dalla Storia del museo per entrare nelle storie delle mostre.
Si è tentato di proporre un diverso modello di museo che rispecchiasse lo stato d’animo di un presente in
cui ogni soggetto è costretto a un ripensamento del suo stare al mondo.
Ad anticipare l’opening della mostra, sarà il 5 settembre l’inaugurazione di Yard di Allan Kaprow, environment del 1961 che è ancora oggi il manifesto di un’arte capace di fondersi con gli spazi esistenti e i contesti sociali in cui è situata, criticando l’idea del potere individuale dell’artista a favore della collettività, e negando l’idea che l’opera debba necessariamente aspirare a una condizione definitiva.