Più reale della realtà, più finto della finzione
La mostra Più reale della realtà, più finto della finzione presenta i progetti fotografici di 12 artiste e artisti visivi under 30, sviluppati nell’ambito della II° edizione del programma di formazione e produzione Futuri Prossimi, promosso da Fluxlab APS in collaborazione con JEST.
Il tema della relazione tra realtà e finzione, attraverso e dentro l’immagine fotografica, è antico come la fotografia stessa. Le questioni sollevate dalla produzione e manipolazione digitale delle immagini, e ancor più dalle produzioni fotorealistiche delle intelligenze artificiali, sono solo un tassello che si aggiunge al mosaico di complessità e ambiguità concettuali e visive che informano la galassia del fotografico. Nonostante quasi due secoli di esperienza, continuiamo in larga misura a considerare che, se le immagini fotografiche non sono manipolate, allora rappresentino la realtà.
Ma quale realtà? Cos’è reale? Quello che vediamo o quello che interpretiamo? I fatti, le opinioni, le rappresentazioni? La messa in scena o il dietro le quinte? La forma o il concetto? La nostra realtà o quella degli altri? O quello che sta in mezzo?
Le artiste e gli artisti in mostra giocano con le risposte a queste domande, trovando vari modi di stare in equilibrio sul filo sottile dell’ambiguità, presentano con i loro progetti una panoramica varia e articolata di possibili declinazioni, pur lavorando nella maggior parte dei casi con tecniche fotografiche che potremmo definire tradizionali. Rappresentano la realtà attraverso e oltre la finzione, e vice versa.
Se la scienza ha sempre utilizzato la fotografia per studiare e documentare i fenomeni attraverso un’osservazione dal carattere oggettivo, non mancano tentativi di piegare la presunta oggettività della fotografia all’immaginazione e alla visualizzazione dell’invisibile o dell’inesistente. Alessandro Truffa (Torino, 1996) esplora in 432 Hz il complesso rapporto di coesistenza uomo-impollinatori, rappresentando con un processo sinestetico l’ultimo canto dell’ape regina.
Tra esperimenti fittizi e documentazione dell’attività di centri di ricerca scientifica, i confini tra realtà e finzione sfumano e permettono di visualizzare un possibile scenario distopico. Christian Velcich (Firenze, 1995) si inoltra in territori a cavallo tra scienza e rappresentazione fotografica in maniera differente con il progetto The Verdant Gaze, esplorando molteplici approcci scientifici al regno vegetale, e le caratteristiche estetiche e biologiche delle piante alle quali ricercatori del passato e del presente hanno rivolto il loro sguardo per comprenderle e ispirarsi. Anche Giorgio Garzella (Pisa, 1995) si avvicina ad un approccio scientifico, pur lasciando in Black Marble largo spazio alla suggestione e alla forza di una fotografia di paesaggio intesa in termini più classici. Il progetto studia i processi di rinaturalizzazione spontanea in alcune cave dismesse sulle Alpi Apuane, dove vegetazione autoctona e specie aliene hanno contribuito alla genesi di un “terzo paesaggio”. Giuliana Lo Presti (Messina, 1996), con L’ombra sullo Stretto, rivolge la sua attenzione a un altro tipo di territorio antropizzato, quello dello Stretto di Messina. Lo stretto, con le sue correnti tumultuose e i suoi miti antichi, continua ad essere permeato da storie di desideri e contraddizioni: il ponte, protagonista fantasma, infrastruttura ancora inesistente, ha già avuto un impatto sui luoghi e chi li abita, e può dire molto sul loro presente e il loro futuro.
Anche altri autori in mostra usano la fotografia per relazionarsi con il paesaggio e i territori. How’s the weather on Jupiter? di Giovanni De Mojana (Milano, 1995) racconta il suo ritorno in un piccolissimo paese sulle Alpi lombarde dopo oltre vent’anni di assenza. Si confronta con gli abitanti e la loro relazione con l’ambiente e la montagna, allo stesso tempo emblema di protezione e monito: gli abitanti delle città faticano a comprenderlo, ma non siamo il centro dell’universo. Sono i montanari o i cittadini a vivere come su un altro pianeta? Anche Francesca Macis (Oristano, 1996) con Go to Mars torna nei luoghi della sua infanzia, ma quasi li trasfigura, per rappresentarli come lei li vedeva e come spesso li percepisce ancora adesso: alieni. Per Cinzia Laliscia (Terni, 1999), la perdita di due persone care e un addio mai dato sono gli eventi che originano un diverso tentativo di trasfigurazione dei luoghi attraverso la fotografia, che si muove quasi in senso opposto.
Finalmente posso andare è un diario intimo, processo di creazione di un mondo parallelo, etereo, luminoso, un luogo sospeso, sicuro e atemporale.
Questioni familiari e produzione di mondi e vite fittizie sono anche al centro della ricerca di Alessandro Di Palma (Manfredonia, 2000). I Wish I Was è il tentativo di esorcizzare alcuni aspetti del vissuto personale dell’autore attraverso le creazione di un alter ego, un fratello gemello che gli permette di confrontarsi con questioni identitarie come la propria omosessualità, l’assenza del padre e la forte religiosità cristiana della famiglia in cui è cresciuto.
Retinitis di Alessandro De Bellis (Moncalieri, 1999) esplora le tensioni che scaturiscono tra la sua identità di fotografo e la cecità del padre. Suggestioni visive, protesi artificiali e ambientazioni sospese tra il domestico e lo scientifico, aprono a una serie di interrogativi su come si possano trascendere le limitazioni del guardare per superare la distanza tra un autore e il suo soggetto, tra un figlio e un padre. Anche Federica Mambrini (Mantova,1994) riflette sulla distanza, sullo spazio intermedio, ciò che sta in mezzo tra varie possibilità, sull’essenza della traduzione e la creazione di ponti che possano colmare una distanza: in questo caso quella tra Italia e Cile, tra due persone che stanno insieme. L’albergo della lontananza si fonda su alcune situazioni architettoniche, ricercate o create a proposito, per definire il ruolo e i limiti che fotografia e architettura hanno in relazione a queste tematiche.
Martina De Giorgi (Lecce, 1998) si avventura tra le montagne del Trentino, dove la presenza dell’orso bruno genera un’atmosfera di paura e allo stesso tempo di curiosità e attrazione. La sua invisibilità trasforma il paesaggio, e per alcune persone diventa pretesto per una ricerca ansimante attraverso i boschi. I don’t care about any other mountain nasce come traccia di questa indagine inquieta, mossa dal desiderio ossessivo di avvicinarsi ad un orso che è reale ma si trasforma al tempo stesso in espediente per la ricerca di una realtà altra.
In Eureka! Come comportarsi con una montagna, Alessia Calzavara (Venezia, 1999) esplora le possibilità di visualizzare e di pensare l’idea di montagna. A partire dalla “motta”, piccola altura della pianura veneta, che appare come un’eccezione paesaggistica e, iperbolizzata, una sfida da affrontare, l’artista cerca un modo per evadere dalla noia attraverso l’immaginazione che trasforma il paesaggio, con un approccio giocoso, processuale ed esperienziale.
Più reale della realtà, più finto della finzione è la mostra conclusiva della II° edizione del progetto Futuri Prossimi, programma di formazione e produzione ideato e curato da Francesca Cirilli.
Futuri Prossimi è un progetto di Fluxlab APS in collaborazione con JEST e con Wild Strawberries, Sweet Life Factory, Kublaiklan, AWI-Art Workers Italia, A PICK GALLERY, CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia, EXPOSED Torino Foto Festival, Torino Futura, Layout, con il contributo di Compagnia di San Paolo nell’ambito delle Linee guida per la formazione e l’avviamento alla professione culturale 2023.