
Luigi Vollaro – Dialogo con la materia
Sarà inaugurata presso il Museo ARCOS di Benevento sabato 15 marzo, alle ore 11,00 la mostra Luigi Vollaro. Dialogo con la materia promossa dalla Provincia di Benevento, dal Museo ARCOS in collaborazione con il Museo-FRaC Baronissi e la Casa Turese Edizioni d’arte e con il sostegno dell’azienda Tekla. In esposizione venti sculture che riassumono esperienze che, dalle terrecotte degli anni Ottanta, arriva ai ‘piombi’ degli anni Novanta e all’ampio ciclo dei ‘rami’, realizzati dai primi del Duemila ad oggi.
“La scelta di tessere un rapporto privilegiato con la cultura del proprio territorio – scrive Ferdinando Creta, nell’introduzione al catalogo pubblicato da Casa Turese Edizioni –, senza rinunziare minimamente a tenere alto il punto di osservazione su quanto accade sulla scena internazionale, è stata mia prerogativa nella gestione dei programmi espositivi del Museo ARCOS. Una scelta che nel tempo si è dimostrata vincente su più piani, sia per aver avviato un lavoro di studio delle presenze artistiche che da decenni operano nel territorio regionale dando voce soprattutto ai più giovani ma anche contribuendo ad una revisione di una storiografia storico-critica a volte distratta, sia per l’attività di promozione, di messa in rapporto con il pubblico che da anni ci segue, sia per aver innescato un circolo virtuoso che in poco meno di un decennio, ha fatto della nostra struttura tra le più attente, in area regionale, per quanto riguarda le vicende dell’arte contemporanea. La suggestione degli spazi del Museo ARCOS, che affianca il museo egizio, certamente contribuisce a rendere ancora più magico il percorso espositivo della mostra che oggi dedichiamo a Luigi Vollaro, uno scultore oramai da decenni affermatosi sulla scena artistica nazionale e seguo da anni: nell’estate del 2019 ho promosso la personale dal titolo “Troni e trofei” allestita nel Palazzo Ducale di Paduli, più tardi nell’autunno del 2022 ho seguito quella ospitata nella passeggiata delle Clarisse a Montesarchio, curata da Francesco Creta. La mostra che oggi si propone, curata con Massimo Bignardi da oltre quattro decenni attento studioso dell’opera di Vollaro, segnala un ulteriore attraversamento dei linguaggi che negli anni hanno scandito le pagine di una attività creativa sempre rinnovatasi e, al tempo stesso, di confronto con le materie, quelle che l’artista attinge al fertile patrimonio della nostra terra: è la feconda plasticità della terracotta, pratica appresa dall’abilità dei ceramisti vietresi; il piombo, con le sue opacità, ritmate da saldature che si fanno segno, infine il rame, derivato come materia dalla tradizione dell’artigianato proprio dell’area vesuviana e della valle dell’Irno”.
Quello di Vollaro, rileva Massimo Bignardi nel lungo ed articolato saggio al catalogo, “è un modo di porsi
rispetto alla scultura che traduce molti aspetti del suo carattere: ironico innanzitutto, pronto ad interpretare le occasioni della vita come momenti provvisori, ponendo una giusta misura di distanza con le accelerazioni di una generazione di artisti, quella comparsa nel decennio Ottanta, proiettati ad
un’affermazione mondana. L’ironia non esclude una certa inquietudine che segnerà i momenti di passaggio del suo lavoro quando, ad esempio, registra la necessità di uscire dal piano di terracotta e conquistare la dimensione di una spazialità a tuttotondo, vale a dire quando entra in gioco la forma complessa dei guerrieri, questo nei primi anni Novanta. Ricordo che nei frequenti incontri – la nostra è un’amicizia trentennale – la reciproca preoccupazione era di porre l’accento sulla necessità di leggere quanto stava accadendo nella scultura di quegli anni, non tanto sul dettato delle scelte stilistiche, dei linguaggi quanto sul suo valore nei processi di rimpaginazione della città, degli spazi sociali. Dalle sue preoccupazioni affiorava costante quella rivolta al valore della materia, al suo nuovo statuto nei registri delle esperienze contemporanee, al difficile confronto e rapporto con l’immaterialità del digitale. Non poteva e non doveva essere solo materia, bensì incipit immaginativo, punto d’avvio di un processo mentale che, attraverso il disegno, lo avrebbe spinto, «modellando – avrebbe detto Focillon – la fluibilità dell’aria» ad incontrare la forma.
Oggi a distanza di anni rileggo l’avvertita attenzione con la quale Vollaro riesce a mantenere vive quelle
preoccupazioni, a farsi, come sempre, prendere dal dubbio, ossia dalla speranza che ci siano ancora, per la scultura di ‘tradizione’ – intesa come configurazione plastica e d’immagine –, margini di operatività”.
La mostra resterà aperta fino a domenica 4 maggio.