Gilberto ZorioGilberto Zorio, Stella 7 punti (fronte, dettaglio), 2010

Luogo

Fondazione Menegaz
Palazzo Clemente, Strada 24 Maggio, 28 - Castelbasso TE

Categorie

Data

Lug 26 2025 - Ago 31 2025

Ora

19:00 - 23:55

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Mostra

Gilberto Zorio alla Fondazione Menegaz

La Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture, presieduta da Osvaldo Menegaz, ogni estate trasforma Castelbasso, piccolo centro della provincia teramana, nel Borgo della cultura.

Nell’edizione 2025 protagonista sarà la mostra personale Gilberto Zorio che rende omaggio a uno dei principali artisti italiani, nonché esponente di spicco del movimento dell’Arte povera: Gilberto Zorio (Andorno Micca, Biella, 1944). Concependo l’arte un campo inesauribile di energia fisica e mentale, fin dai suoi esordi Zorio ha indirizzato la propria ricerca verso una processualità funzionale a rendere continuamente mutevole ogni opera. Predisponendo reazioni chimiche o fisiche, e assurgendo il tempo a elemento cardine, immette nel suo lavoro un ciclo vitale, di fronte al quale egli stesso si pone come spettatore.

Dopo 22 anni dalla mostra collettiva Alchimie del Mito a cui la Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture lo aveva coinvolto, Zorio torna a Castelbasso per proporre una doppia mostra, a palazzo De Sanctis e a palazzo Clemente, concepita come un’incursione analitica nei suoi 60 anni di attività, dalla metà degli anni Sessanta fino a oggi, svolta mediante una selezione di 30 opere iconiche.

A palazzo De Sanctis la mostra si sviluppa sui tre piani dell’edificio ed è pensata come un viaggio cronologico e tematico che porta in luce i principali motivi iconografico- concettuali del lavoro di Zorio: dalle reazioni chimiche e fisiche sviluppate nella seconda metà degli anni Sessanta attraverso la combinazione di elementi tra cui tubi dalmine, cemento, polvere di zolfo, solfato di rame, acido cloridrico e rame (al piano terra del palazzo), alle opere degli anni Settanta nelle quali la luce diviene portatrice di evoluzione, cambiamento, rivoluzione (al primo piano del palazzo), fino a giungere alla produzione degli ultimi quarant’anni dove la possibile convergenza tra passato, presente e futuro diviene tema cardine, prendendo sovente la forma del giavellotto (al secondo piano del palazzo).

Al piano terra di palazzo De Sanctis sono infatti esposti lavori realizzati nella seconda metà degli anni Sessanta (tra cui Letto, 1966 e Sedia, 1966), presentati in occasione di importanti personali, come la prima tenutasi in Italia, presso la Galleria Sperone nel novembre 1967, e la prima tenutasi all’estero, presso la Galerie Ileana Sonnabend, nel gennaio 1969. Queste opere incarnano perfettamente ciò che nel 1967, in Appunti per una guerriglia, il critico Germano Celant scrisse su Zorio, definendo le sue creazioni “enfatizzazioni visuali di un avvenimento instabile. […] Un’imprevedibile coesistenza tra forza e precarietà esistenziale che sconcerta, pone in crisi ogni affermazione, per ricordarci che ogni “cosa” è precaria, basta infrangere il punto di rottura ed essa salterà”.

Le sale del primo piano di palazzo De Sanctis delineano invece un percorso all’interno della produzione degli anni Settanta dell’artista, caratterizzata dalla dicotomia tra luce e buio. Se grazie alla luce alcune opere (tra cui Per purificare le parole, 1979), evidenziano la propria relazione con lo spazio reale circostante, è dal buio che storiche installazioni, “brillanti” di luce propria grazie al nichel cromo incandescente o al fosforo (tra cui Confine incandescente, 1970 e Pugno fosforescente, 1971), emergono al nostro sguardo per portarci in un’altra dimensione: “Mi interessa la rivelazione”, afferma l’artista: “Questo permette di vedere cose che normalmente non si vedono. L’invisibile diventa visibile. La realtà è una rivelazione, cioè l’esatto contrario”.

Infine, le opere all’ultimo piano di palazzo De Sanctis, realizzate tra la fine degli anni Settanta agli anni recenti, analizzano le molteplici possibilità in cui può manifestarsi uno dei principali elementi iconografico-concettuali della produzione di Zorio, evocativo della possibile convergenza tra passato, presente e futuro: il giavellotto, utilizzato per la prima volta nel 1971. Vediamo infatti giavellotti tra loro in tensione in una grande installazione aerea (Per purificare le parole, 1980), giavellotti tra loro incrociati a formare una Stella (2009), giavellotti uniti a delineare un arco con impugnatura, giavellotti utili a sostenere una canoa….

Sottolinea la curatrice Ilaria Bernardi: “Focalizzatosi sull’energia che in quanto tale produce movimento, nel suo lavoro Zorio supera la linearità dello spazio e soprattutto del tempo. Alla stregua del giavellotto che più viene portato indietro dalla mano che lo impugna più andrà lontano una volta lanciato, così il lavoro dell’artista prende lo slancio andando indietro, indagando nella storia del mondo, per proiettare lontano, nel futuro, i suoi miti e archetipi”.

La seconda parte della mostra si sviluppa a palazzo Clemente e si focalizza sulle possibili declinazioni dell’elemento iconografico-concettuale per cui Zorio è maggiormente conosciuto: la stella, entrata a far parte del suo lessico fin dal 1972. Stelle che appaiono su pelli, su pergamena, su rame, su ferro, su rame, su alluminio, nonché stelle disegnate su carta per progettare grandi Torri Stella, accompagnano il visitatore verso una “rivelazione”: “La stella è un’immagine fantastica, estremamente energetica, galleggia nello spazio…metafora di un miraggio irraggiungibile ma pensabile”, come spiega l’artista.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da SilvanaEditoriale (Cinisello Balsamo 2025, ill.), curato da Ilaria Bernardi, che include un testo di approfondimento della curatrice, schede delle opere esposte, vedute della mostra, e un apparato biografico e bibliografico.

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