Friedrich Andreoni, Roberto Casti | Fernweh – /ˈfɛɾnˌveː/ – II Atto
Dopo il successo della prima tappa a Berlino, Fernweh – /ˈfɛɾnˌveː/ rappresenta un dialogo sui temi della paralisi collettiva e del desiderio di fuga, esplorati attraverso installazioni sonore, sculture e performance. Un’indagine sul bisogno umano di rifugiarsi in luoghi ideali, reali o immateriali, che trova ispirazione tanto nella modernità di James Joyce quanto nella frenesia contemporanea delle metropoli.
In un contesto sociale che per alcuni aspetti ricorda la Dublino raccontata da James Joyce nel 1914 in Dubliners, i personaggi dei quindici racconti tornano attuali. Ogni vicenda, infatti, presenta due costanti narrative: la paralisi collettiva, indotta dalla politica e dalla religione del tempo, e l’idea di fuga, come conseguenza di una rinnovata consapevolezza. In particolare, in Eveline l’epifania è indotta dal suono di un organetto: la protagonista sceglie di fuggire da Dublino per ricominciare la sua vita a Buenos Aires ma, presa la decisione, la paura e i rimorsi la trattengono in Irlanda, lasciando così la speranza di una desiderata felicità, che si allontana nella personalizzazione di Frank su una nave diretta in Sud America.
Friedrich Andreoni e Roberto Casti sono stati invitati a riflettere sulle tematiche affrontate dal romanzo in relazione al contesto in cui vivono, rispettivamente Berlino e Milano. Comparando i racconti del romanzo di Joyce alla situazione contemporanea, emergono degli elementi speculari: la sensazione di vuoto, la paralisi collettiva e il desiderio di fuga.
Dopo essere stata presentata presso lo spazio indipendente KA32 di Berlino a novembre 2023, Casa degli Artisti a Milano ospita il secondo atto dell’esposizione. Attraverso installazioni sonore, sculture e performance, gli artisti indagano la necessità di raggiungere un luogo, materiale o immateriale, che consenta di astrarsi dalla frenesia e dal vuoto del vissuto, un rifugio dalle pressioni imposte dal contesto sociale della metropoli. Non necessariamente una meta fisica ma anche una suggestione, una persona, un luogo ideale, una lettura o un suono che permetta, a colui che Stendhal definirebbe “privilegiato”, di chiudere gli occhi ed essere trasportato ovunque lo desideri.
Da qui la scelta del titolo: fernweh, dal tedesco fern: “lontano” e weh: “nostalgia”. Non direttamente traducibile in altre lingue, assume il significato di “vuoto che si prova nell’essere intrappolati nella quotidianità” e di conseguenza “nostalgia di un posto lontano” ideale o reale, conosciuto o da scoprire.
Friedrich Andreoni si ispira all’iconico uovo che Piero della Francesca dipinge tra il 1472 e il 1474 nella Pala di Brera proponendo Ending Times (2023), un’installazione sonora multi-canale, composta dalla successione di campioni audio degli ultimi cinque secondi di diverse colonne sonore cinematografiche. Un altoparlante, posto al centro dello spazio espositivo come nella Sacra Conversazione francescana, riproduce in loop una composizione di 30 minuti, creando un’atmosfera senza fine, caratterizzata da echi distanti e malinconici. Richiamando l’idea del viaggio, la successione di ogni traccia si delinea come un ciclo ininterrotto di partenze, arrivi e ripartenze: ogni confine è sfumato, in una sequenza continua di finali. Ending Times simboleggia il perpetuo e il metamorfico invitando i visitatori a perdersi in un non-luogo che non hanno mai vissuto.
Roberto Casti porta avanti una ricerca sulle connessioni marginali che legano l’interno e l’esterno portando avanti la serie Aleph (2023 – on going), iniziata durante il primo capitolo di Fernweh a Berlino. Per la realizzazione di queste opere, l’artista ha collezionato registrazioni sue o appartenenti ad amici provenienti da città lontane tra loro, andando poi a modificarle e rallentarle fino a creare dei tappeti sonori ambient in cui ogni dato spaziale e temporale viene schermato. Le tracce sono solitamente riprodotte attraverso dei display che l’artista definisce non-oggetti, dei dispositivi che abitano i margini di qualsiasi ambiente domestico o commerciale come scatole di derivazione, tubi di scarico o dell’acqua e condotti per l’aerazione, strumenti funzionali che solitamente servono a nascondere dei “passaggi”, siano essi di energia, di aria o di informazioni. Utilizzando questi dispositivi come casse di risonanza anomale, l’artista mette in evidenza ciò che abita ai margini degli spazi quotidiani, re-interpretando le connessioni che legano l’interno abitativo all’esterno, il micro al macro, l’individuo al pianeta in cui vive. In stretta relazione con lo spazio di Casa degli Artisti, Roberto Casti proporrà una nuova versione di Aleph collaborando con Maya Aghniadis, musicista di origine Libanese che vive ad Atene, in Grecia. L’opera funge da cassa di risonanza per una composizione realizzata rallentando alcune registrazioni effettuate in Libano.