Federico De Leonardis | Carcere d’invenzione IX
La Galleria SHAREVOLUTION c.a., in collaborazione con la GalleriaMichelaRizzo di Venezia, presenta Carcere d’invenzione IX, la seconda mostra personale dell’artista Federico De Leonardis, che inaugura giovedì 03 ottobre alle ore 18:00 nell’ambito dell’iniziativa START 2024.
Ligure di nascita e milanese d’adozione, Federico De Leonardis, da sempre lavora sullo spazio che lo ospita. Il suo lavoro è costantemente alla ricerca di un equilibrio delicato fra la presenza, affidata sempre a scarti, tracce di eventi di energia sviluppatasi altrove, e l’assenza, affidata alla memoria automatica comune a tutti noi. La reazione automatica di fronte a questo grande vuoto è riempirlo, e non importa di cosa, purché lo riempiamo. Allo stesso modo l’arte oggi partecipa a questo atto di riempimento del vuoto quando – a dire il vero – il suo ruolo principale sarebbe mostrarlo. De Leonardis, parlando del vuoto, non lo descrive come concetto astratto, ma come parte della nostra vita sin da subito. Il vuoto è tempo: un tempo più concreto e potente di quello che vediamo scorrere sui nostri orologi, ha sempre un effetto e avanza a scatti imprevisti e definitivi. Il vuoto è un corpo concreto, uno spazio percorribile e vivibile.
In un mondo che denuncia oggi in modo lampante il suo horror vacui e che per fuggire la paura della morte riempie ossessivamente ogni spazio, inquinando ogni angolo visivo, De Leonardis si dimostra artista della tabula rasa, del passo indietro. L’artista non mostra gli oggetti, ma procede alla loro preliminare cancellazione, lasciandone solo dei resti, non tanto per sottrarli alla vista, quanto per renderli più visibili. In apparente contraddizione con le sue origini e i suoi studi, distrugge anziché costruire, svuota anziché riempire, lasciando semplicemente alcune tracce, che scavano però nel profondo di tutti noi memorie sepolte e finalmente riemerse.
Protagonisti di questa mostra sono lo spazio vuoto e l’architettura. L’installazione proposta dialoga con gli spazi della galleria attraversandone l’architettura e dando vita a un discorso sospeso tra i suoi muri. In questa proposta visiva, l’intero spazio è ancorato al progetto Carcere d’invenzione IX, che la percorre e l’attraversa metaforicamente, dichiarando la sua struttura e il suo svuotamento. Un discorso sospeso attraverso i calcoli matematici delle curve delle catene. Mentre le fenditure, create per fornire uno spiraglio, restituiscono un’altra sospensione, emblema di un indefinito assordante.
Nelle sue Carceri d’invenzioni sottrae le catene a strutture carcerarie, liberandole da stereotipi di costrizione, punizione, internamento obbligato. La linea catenaria che attraversa lo spazio di ingresso della galleria converge verso il centro a determinare la cornice di un vuoto sospeso sul quale si orienta lo sguardo dell’osservatore, condotto, dal vettore direzionale, oltre il muro. La catena prosegue intersecando in punti, altezze e angoli calcolati, la struttura muraria e il pavimento. E così lo spettatore può riappropriarsi dello spazio, vivendone la fisicità e insieme la storia, in questo caso secolare, del palazzo che ospita l’installazione.
Definire concettuale questo architetto dello spazio è riduttivo: in lui la materia è prima di tutto il calco di un’energia impiegata da altri, fisica e psichica nel contempo, e non ha alcun valore formale in senso stretto. La forma a cui pervengono le sue opere è più per sottrazione che per aggiunta e i vuoti, attraverso la materia che li connota, costruiscono geometrie semplici ma rigorose, elementarizzando la tensione euclidea tipica dell’architettura, così come gli Specchi infranti posti in galleria, nei quali è esplicita la polarità di pieni e vuoti, sono quasi un ready made, ormai avulsi da ogni riferimento funzionale, di cui l’artista vuole evidenziarne la tensione e l’energia. L’atto di rottura diviene testimonianza e residuo di un’energia passata di cui l’oggetto – lo specchio – conserva la memoria.