Da Alessandra Bonomo, il confronto tra Lulù Nuti e Delfina Scarpa

La bipersonale di Nuti e Scarpa propone il confronto diretto tra due approcci artistici differenti evidenziandone molteplici similitudini.

È questa la prima o l’ultima notte sul nostro pianeta? L’interrogativo che fa da sottotitolo alla mostra NUTI.SCARPA, inaugurata alla Galleria Alessandra Bonomo lo scorso ventiquattro febbraio, conduce immediatamente nel vivo di uno dei tratti comuni predominanti dell’universo visivo delle due artiste. L’esposizione, a cura di Teodora di Robilant, presenta gli esiti più prossimi del lavoro di Lulù Nuti e di Delfina Scarpa, appositamente concepiti in funzione del progetto in questione e per gli ambienti della galleria.

Dunque, dalla dialettica successiva al confronto fra le autrici, affiora, pur nel rispetto delle singolarità, l’accenno condiviso a una dimensione dove la nitidezza del reale è diluita nella soggettività dell’artista, tale da trasporre l’estetica delle loro opere nell’ordine ora dell’onirico e del visionario, ora del distopico e del surreale, senza possibilità d’estinzione. Risolta secondo tali accenti, è questa indeterminazione, forse contraccolpo indiretto di un presente segnato dal rifugio in se stessi, nonché riflesso di una contemporaneità artistica riottosa a statuti, a sostanziare il sistema della mostra e l’ipotesi di simmetria fra le due creatività.
L’allestimento, pensato in risposta allo snodarsi dell’architettura, non solo giunge a qualificare le vicendevolezze intercorrenti fra pittura e scultura – quest’ultima, per Nuti, da reputarsi nella massima estensione semantica – ma dimostra anche il grado relativo di reciproca permeabilità fra le due pratiche artistiche. A risultare unanime, in questa relazione, è la considerazione del colore, adottato come elemento costitutivo e bacino di una qualità formale endogena, che da esso – come conseguenza – si sviluppa. Con ciò, nel contesto dei due lessici, si indica l’esercizio di una prassi cromatica evidentemente prioritaria e non opzionale, quindi che sovrintende la genesi dell’opera anziché esserne subordinata, andandosi a precisare come l’autentico generatore espressivo dell’alfabeto delle interpreti. Così, i loro linguaggi, per evocazione, rimandano alla categoria del paesaggio ma non restituendola come un “fatto” bensì come una “condizione”. Nei lavori proposti, difatti, il paesaggio viene definito essenzialmente come tale dal concorso di una serie di fattori, quali l’applicazione di un modus operandi significativo, la scelta dei materiali, della scala cromatica e di quella proporzionale, oltre che dal vaglio rappresentato dalle rispettive sensibilità. Esso, in Nuti, è sublimato per mezzo di una metodologia deduttiva, in cui caratteri distintivi del concetto astratto di paesaggio vengono sintetizzati all’interno del perimetro dell’opera. L’autrice manifesta un approccio interdisciplinare nell’impiego dei materiali, nell’esecuzione e nella resa delle morfologie, in bilico fra parvenza organica e detrito industriale e frutto di un processo parzialmente escluso dal suo stesso controllo. La materia e il colore eseguono il medesimo spartito, si fondono nella fisica delle sculture, fino a innervarne la fibra, scaturendo, infine, volumi non assiomatici, che, proprio per tale irregolarità, si aprono – con coerenza – alle alternative dello spazio, amplificandone l’estetica, al punto di esternarne la vocazione all’installazione.
In Scarpa, per converso, il paesaggio viene attraversato in maniera induttiva, tramite la riproposizione sulla tela di sue parzialità, fornendo una traduzione tendente al trascendente. Lei, da parte sua, imposta un registro pittorico nutrito da pennellate, a volte, tenui, in altre, volitive, dove le forme originate dall’intensità della stesura cromatica si svelano, quasi per epifania. Nei suoi dipinti risuona l’eco della primogenitura dell’astrattismo europeo, che si configura come sostrato subliminale di un vocabolario visivo ben più complesso e articolato in stratificazioni, umori cromatici, variazioni formali. Il tutto è calibrato, valutando il coefficiente d’osmosi fra tali componenti, delineando, quindi, un insieme ricco di connotazioni.
Con la doppia personale di Lulù Nuti e Delfina Scarpa, curata da Teodora di Robilant, la Galleria Alessandra Bonomo continua ad approfondire la scena artistica romana emergente. L’evento è aperto fino al trenta aprile.