Nato due anni fa con il prioritario scopo di offrire ai giovani artisti pugliesi una formazione specialistica di arte e cultura contemporanee senza dover emigrare, lo Studio PIA, fondato a Lecce da Jonatah Manno e Valeria Raho, è oggi una realtà consolidata, capace di coniugare l’attenzione al territorio ad una visione internazionale. Funzionale a quest’ottica autenticamente glocal è l’invito che annualmente PIA rivolge ad artisti e curatori formatisi (e affermatisi) nello scenario mondiale, chiamati eccezionalmente a chiudere il percorso di formazione leccese. Visiting artists e visiting curator di quest’anno sono stati rispettivamente Robin Watson e Nina Canell, protagonista del Padiglione nordico alla Biennale di Venezia del 2017, e Caterina Riva, curatrice indipendente da pochi mesi al vertice del Museo di Arte Contemporanea di Termoli.
Abbiamo chiesto a quest’ultima di raccontarci la sua esperienza da visiting curator e al contempo di svelarci in anteprima gli obiettivi da neoeletta direttrice.
C.C.: Pia ti ha invitato in qualità di visiting curator a concludere il suo percorso formativo rivolto a giovani artisti. Come hai operato e qual è il bilancio dell’esperienza?
C.R.: È da più di un anno che sono in contatto con il gruppo di lavoro di PIA. Conosco Jonatah Manno dal 2006 quando ci incontrammo alla Fondazione Ratti, lui era tra i partecipanti al Corso Superiore di Arti Visive con Marjetica Potrc mentre io coordinavo le settimane a Como. Jonatah e Valeria Raho, i fondatori di PIA, mi hanno invitata come visiting curator della seconda edizione del loro corso di studi in arti visive e cultura contemporanea quando ero ancora indipendente e stavo lasciando Singapore nel settembre 2019 per ritornare in Italia senza alcuna certezza lavorativa. Da quel momento il dialogo è continuato e cresciuto. P.I.A., che sta per Persistence is All, ha un approccio molto collaborativo e orizzontale: mi hanno parlato delle loro aspettative e i metodi che avevano scelto di adottare ed erano curiosi di avere il mio punto di vista. Credo che nel DNA di tutti i soggetti coinvolti ci sia la volontà e la tenacia di creare e nutrire spazi di confronto, ricerca e sopravvivenza in Italia. PIA è per definizione un luogo sperimentale, volutamente al di fuori dagli schemi, direi anche un po’ magico. La settimana di #LecceArtWeek si è appena conclusa ed è stata intensa ma anche piacevolissima. Sono molto orgogliosa della mostra A small messy turbulence realizzata con opere degli 11 partecipanti del corso in diversi spazi del castello Carlo V, ma anche degli incontri con nuovi interlocutori, e aver ritrovato persone come l’artista Michael Dean che inaugurava una mostra da Progetto e che non vedevo da dieci anni, quando ancora vivevo a Londra. Se penso che dovevamo essere a Lecce per il workshop a maggio 2020, poi saltato causa lockdown da Covid-19, il ritrovarsi tutti insieme in presenza qualche settimana fa, seppur con la mascherina, ha del miracoloso.
CC: La tua è una formazione internazionale. Nel corso della tua esperienza quali analogie e quali differenze hai notato con il sistema dell’arte in Italia?
CR: Ho fatto studi a Londra, ma ho iniziato il mio percorso in Italia: prima laureandomi in storia dell’arte all’Università di Parma e poi completando il Master Curator all’Accademia di Brera, che ha formato schiere di professionisti dell’arte. Uno dei miei primi giorni a Lecce mi trovavo in un bar accanto all’Accademia di Belle Arti e ho sentito una conversazione tra studenti al tavolo accanto, discutevano i pro e i contro di trasferirsi a Milano. La tua è una domanda complessa e non riesco a rispondere in poche righe, ma basti dire che se non fossi stata “straniera” forse non avrei aperto uno spazio a Londra come FormContent. In realtà la voglia di lavorare in Italia c’è sempre stata, piuttosto mancavano le condizioni. Comunque credo che non ci si debba sempre lamentare ma piuttosto rimboccarsi le maniche, ed èesattamente quello che sto cominciando a fare a Termoli e quello che PIA fa da due anni a questa parte: vedere le potenzialità di un luogo e non lasciare che la gente vada altrove per trovare quello che gli serve. Quando attraversavo la città di Lecce a piedi da Porta Rudiae al Castello Carlo V pensavo che solo in Italia una mostra di arte contemporanea possa essere ospitata in un castello.
CC: Quali punti di forza e di debolezza ritieni abbia il sistema formativo in Italia relativo alle arti visive contemporanee?
CR: La mia impressione è che gli spazi critici e di confronto stiano diminuendo, quindi un luogo come PIA è una boccata d’aria fresca e offre contenuti di qualità in luoghi considerati a torto periferici. Questa è anche la mia sfida per Termoli, anzi credo che si possa fare di più proprio in questi centri, essere più propositivi, sperimentali e vicini alla cittadinanza, che in metropoli come Milano o Roma.
CC: Quali consigli senti di dare a giovani che intendono intraprendere la professione di artista e/o curatore?
CR: Che responsabilità! Mi pare sempre più difficile trovare sbocchi lavorativi in questo campo, sia per artisti che curatori. Ricevo molti curriculum di persone preparatissime che non sono impiegate, e quello che più mi preoccupa e che ai giovani non è più permesso di sbagliare né di sperimentare, ci si aspetta una ricetta professionale molto precisa e ripulita a 20 anni, ma se non si fanno errori in quella fase, allora quando? Direi di fare molta esperienza pratica, è il modo migliore per capire cosa si voglia davvero fare, e non credete achi promette facili sbocchi lavorativi ma avvicinatevi piuttosto a quelle persone che vi sembrano di valore e il cui lavoro ammirate.
CC: Sei stata recentemente nominata Direttrice del MACTE. Quali gli obiettivi a breve, medio e lungo termine che ti poni nel corso del tuo mandato?
CR: Essere la prima direttrice del museo significa svolgere molto lavoro “dietro le quinte” per poi lanciare la mia programmazione dalla primavera 2021, dopo la mostra del 62° Premio Termoli. In queste settimane sto imparando a conoscere la collezione e sto lavorando su cosa mostrare e come farlo, vorrei che il visitatore si rendesse conto di questo fermento e non si aspetti solo la mostra finale perfettamente installata. Comincerò a breve anche con una serie di incontri di approfondimento della collezione e di avvicinamento a nuovi linguaggi del contemporaneo. Per il medio termine sto lavorando con istituzioni e curatori ospiti per portare mostre e le ricerche che le supportano a Termoli, e per il lungo vorrei sviluppare con artisti dei progetti espositivi generati dal MACTE.
CC: Termoli ha un’importante storia nell’ambito dell’arte contemporanea italiana per via dell’ omonimo premio nato nel 1955 e di cui il MACTE è erede. Come la tua attività di curatrice internazionale si coniugherà con la storia del museo?
CR: Le mostre temporanee dialogheranno sempre più con le opere della collezione del Premio Termoli e mi piacerebbe anche invitare artisti a lavorare con me su nuovi progetti espositivi della collezione. Intanto ci stiamo anche occupando di restauro delle opere del Premio Termoli, con una convenzione con la scuola di restauro dell’Accademia di Brera. Il Premio Termoli quest’anno alla 62ma edizione, si rinnova: nella Sezione Arti Visive, oltre all’opera che vincerà il premio e entrerà a far parte della collezione, si aggiungerà un secondo premio per un’artista selezionato per fare una personale al MACTE a 12 mesi di distanza. Infine introduciamo la nuova Sezione di Architettura e Design: un’open call internazionale (aperta a designer, architetti e artisti fino al 26 novembre) con il progetto di una pensilina del bus per la città di Termoli.
DIDA:
- LecceArtWeek, workshop all’alba_ph. Raffaella Quaranta_PIA 2020
- A small messy turbulence, Rapid eye movement, installazione sonora diGiulia Tenuzzo_ph. Raffaella Quaranta_PIA 2020
- A small messy turbulence, installazione e performance di Silvia Ruggeri_ph. Raffaella Quaranta_PIA 2020
- Opening di A small messy turbulence, ph. Raffaella Quaranta_PIA 2020 Castello Carlo V
- Dadamaino, Cromorilievo (Fondorilievo) (1974), courtesy MACTE Museo d’Arte Contemporanea di Termoli