Afterall, Stanza 101, Art Hotel Gran Paradiso, Sorrento

Afterall |Stanza 101 ‘FINE A SE STESSO’

Un duo di artisti, uno splendido art hotel e una suite, la stanza 101 che Silvia ed Enzo Esposito, ovvero gli Afterall, hanno lasciato come segno di un transito condiviso, con altri artisti, all’Hotel Gran Paradiso di Sorrento, ove dormire, sostare e riposare significa immergersi nell’alveo creativo dell’arte.

Soggiornare in un art hotel non significa semplicemente dormire in un bell’albergo. La Bellezza, fine a sé, in questo caso, non c’entra nulla. Dormire in un art hotel che affaccia sul Golfo di Sorrento, allo stesso modo, non vuol dire soltanto alloggiare di fronte ad uno dei panorami più belli al mondo. La sfida, ovvero la tensione verso un approccio differente, avviene tra le pareti della stanza, laddove artisti hanno operato prima della nostra sosta al fine di restituire agli ospiti, nel loro passaggio, un istante di stupore e maraviglia, qualche ora mediante cui entrare a far parte di un’opera d’arte, o meglio, diventarne parte, nel solco di quell’intelligente strumento economico che è denominato ‘Arte & Impresa’.

Alcune settimane fa sono stata invitata da Allumeuse Communication in un press tour a Sorrento, per soggiornare nell’Art Hotel Gran Hotel Paradiso, di Mario Colonna, imprenditore e collezionista, che ha reso la sua struttura ricettiva un vero laboratorio di sperimentazione artistica, ove ogni suite racconta e custodisce un’opera d’arte, filiazione di residenze d’artista e calls.

Con immenso piacere ho ritrovato, accanto a grandi nomi del ‘900, molti artisti partenopei e non solo che conosco e di ho a cuore la ricerca, ad iniziare da Lello Lopez con il gallerista Giuseppe Compare, per finire agli Afterall, protagonisti della Stanza 101, suite assegnatami e che, da subito, ho sentito ‘mia’. Ho scelto di chiamare gli Afterall Silvia ed Enzo Esposito – per condividere con i lettori il senso più profondo dell’opera.

Afterall, Stanza 101 | FINE A SE STESSO, Art Hotel Gran Paradiso, Sorrento

FINE A SE STESSO è il lavoro presente nella Stanza 101 dell’Art Hotel Gran Paradiso di Sorrento. Raccontateci la sua genesi.

FINE A SE STESSO è il risultato materiale di azioni realizzate a quattro mani da noi: una è quella dipinta sulle pareti della stanza, l’altra azione è un performance chiusa al pubblico, avvenuta altrove, e conservata la traccia nelle pagine, custodite tra vetro e legno, disposte sulla parete del letto.

L’operazione performativa ha inizio da una suggestione nata in seguito al recupero di una lettera scritta a Brooklyn (NY) da Madeline Giordano sotto dettatura della madre Philomenia de Francisco. La lettera, datata 9 gennaio 1975, è indirizzata a Giuliana Di Francesco di Qualiano (NA) con preghiera di lettura da parte di sua figlia Maria Esposito. Si tratta di una comunicazione non lineare e a intermittenza nella quale sia il mittente e sia il destinatario, a causa della loro condizione di illetterati, sarebbero impossibilitati a comunicare fra loro se non fosse per la mediazione interpretativa delle rispettive figlie. L’operazione messa a punto da noi consiste nel reiterare più volte il gesto della trascrizione della lettera, copiandone le pagine attraverso l’utilizzo della carta carbone. Il risultato è un nuovo e ulteriore transito nella comunicazione delle informazioni, una trasmissione nella quale i segni tendono a perdersi e i significati a restare custoditi e sbiaditi nelle pieghe della carta carbone.

Afterall, Stanza 101 | FINE A SE STESSO, Art Hotel Gran Paradiso, Sorrento, courtesy gli artisti

Da sempre impegnati in una profonda ricerca concettuale e teorica, guardando alla dualità di forma e funzione, con questo lavoro indaghiamo gli inciampi del linguaggio e della comunicazione a partire dall’esercizio e dall’azione.

La ripetizione pedissequa della trascrizione delle parole, che si sovrappongono una sull’altra, ha la capacità di dar vita a una comunicazione fine a se stessa che, a causa della sua non totale comprensione, torna ad essere nuovamente riconoscibile solo nell’intimità del contesto familiare. Il salto da un codice semiotico all’altro e da una forma all’altra della trasmissione crea per noi una serie di gap cognitivi,  per noi considerati non come banali imprecisioni, bensì “errori propulsivi” capaci cioè di creare nuovi significanti e nuovi contesti.

“La nostra ricerca trova il suo interesse nell’indagare il momento processuale della comunicazione, la «zona grigia» tra il referente e il significante. Un «brusio di senso barthesiano», imprescindibilmente legato al tempo presente. Qualsiasi linguaggio tecnico o artistico utilizzato, rappresenta per noi una forma di trapasso, di traduzione da un codice interpretativo all’altro.” Queste parole, tratte dal vostro statement in che maniera hanno trovato posto nel lavoro che ha determinato l’opera site specific FINE A SE STESSO?

Le pareti ad angolo come pagine, della Stanza 101, sono dipinte da noi con la vernice lavagna, come luogo di appunti dove poter predeterminare e organizzare la giornata. Però sovviene la scritta fine a stesso…

Il linguaggio offre all’individuo un orizzonte di possibilità latenti, una gabbia flessibile e invisibile entro cui esercitare la propria libertà condizionata. Questa struttura per noi non è uno spazio da riempire ma un susseguirsi di segmenti temporali, come nella vita più felice: le cose avvengono nel momento in cui devono avvenire. Quando, appunto, il linguaggio, per un attimo, si distrae e perde la sua funzione principale e diventa inciampo, come quando per errore si salta un gradino, come quando si ricorda e, nello stesso tempo, non si ricorda più qualcosa.

L’hotel e le sue stanze sono luoghi e spazi che appaiono immobili eppure subiscono continue trasformazioni, sono non-luoghi di temporaneo attraversamento esistenziale che generano una sovrapposizione sempiterna di suggestioni. In che modo l’interazione tra la vostra ricerca e una suite ha potuto fermare ciò suggerisce qualcosa d’altro ad una sosta?

Una stanza di albergo, la Stanza 101, come la mente che assiste al via vai dei propri pensieri che cercano di condurla altrove, fuori dal suo stato in non-luogo.

Nella nostra poetica ci interessano gli attraversamenti, di cose e fra le cose, e molto spesso noi stessi ci siamo trovati in ruoli ibridi, di transizione, lavorando in altri contesti. Restiamo affascinati dai “luoghi ibridi dell’esperienza”, come appunto la stanza di un albergo, una sala d’attesa, le tasche di un soprabito dismesso.

Afterall, Stanza 101 | FINE A SE STESSO, Art Hotel Gran Paradiso, Sorrento, courtesy gli artisti

In cosa consiste, per voi, ciò che definite ‘trasparenza dell’opera’ e ‘desiderio degli oggetti degli elementi che compongono un paesaggio, come di alcuni spazi e costruzioni dal destino irrisolto’? In quale dinamica di tale processi si pone l’opera della Stanza 101?

Crediamo che il cambiamento sia sempre in atto e che ci sia sempre interconnessione tra gli elementi, come tra gli oggetti e i non-oggetti che compongono una scena. Crediamo che la figura dell’autore non possa non tener conto delle variabili, delle possibilità legate al cambiamento, e non possa fare altro che giocare con esse, assistendo e creando quello che noi definiamo paradossalmente paesaggi involontari.

Quando parliamo di trasparenza ci riferiamo alla capacità, finalmente, di vedere liberamente, sganciati, seppur per un momento, dalle solite rotte di percezione, dalla propria chiusura autopoetica. L’opera per noi deve fare da attivatore di visione, così come Fine a se stesso chiede al fruitore di entrare in scena e fare un atto di montaggio autotelico.

Nel vostro lavoro la forma della residenza artistica ha avuto particolare rilievo, in particolare perché vi spinge a interrogare lo spazio che abitate e che sarà abitata dalla vostra opera. In cosa un hotel, o meglio un art hotel, anzi, la suite di un art hotel si differenzia dal white cube di una galleria, da spazi istituzionali o da luoghi dalla storia secolare?

Spesso nei white cube si ha la sensazione che le opere finalmente riposino: perché giunte ad un obiettivo e de-finite. L’atto di separazione dal contesto di elaborazione le rende visibili e le esalta. Le nostre opere necessitano sempre di dialogare con il contesto: corrono alla ricerca di relazioni. Facciamo un esempio: l’opera “Just One Damn Thing After The Other_06” in collezione al Museo MADRE di Napoli, con il suo nucleo di immagini fotografiche e segni incisi e incastonati, frutto di ricerche d’archivio sulla dicotomia Documento/Monumento, dedica anche parte dello spazio della sua struttura alla trasparenza del vetro: una lunga parte di spazio in cui l’opera include il fuori fuoco del contesto, della circostanza.

Dalla Stanza 101 dell’Art Hotel Gran Paradiso di Sorrento, vi chiedo: qual è la vostra prossima tappa progettuale? Quali i vostri progetti per l’immediato futuro?

Il nostro attuale progetto di ricerca ha visto già una sua prima tappa in piena chiusura dei musei italiani, con Trentamillesimidisecondo, titolo dell’opera a cura di Lorenzo Respi per FMAV, che è andata in scena a dimensioni doppie: nella Farmacia Storica dell’ex Ospedale Sant’Agostino di Modena e in uno streaming on-line per AGO Modena Fabbriche Culturali a cura di Daniele Francesconi, con la preziosa assistenza di Serena Gandolfi.

Proprio in questi giorni stiamo mettendo a punto una rete di partners culturali internazionali e italiani per le future tappe dell’indagine di questo progetto.

Da qualche anno riflettiamo sul concetto di “tempo” e di “fine”, quest’ultimo inteso nel suo senso duplice: come scopo delle nostre azioni  o come termine ultimo di ogni esistenza organica.  Pertanto, ci viene facile dire: È più facile accettare che le cose abbiano un senso, un senso pratico, un fine, ma se c’è la morte che è la fine, tutto è foschia.

Nel nostro lavoro percorriamo la suggestione delle immagini, consapevoli dell’età digitale del nostro tempo, in cui qualsiasi frammento dell’esistenza può essere rilevato e rivelato all’istante, consumato, tanto da confondere realtà e immagine. Come se se si volesse osservare con piena attenzione ogni momento finito e ogni brandello di ‘(segno)-spazio’. Con Trentamillesimidisecondo, infatti, la registrazione della paziente performance privata che abbiamo condotto, ricopiando a mano, su carta carbone, la calligrafia seicentesca che narra La Cronaca di Modena di Giovan Battista Spaccini, viene infine proiettata su un telo, così come il suono della stessa viene riprodotto, nello stesso luogo dove il fatto è avvenuto, ma la scena è altra: solitaria, animata solo da oggetti, due megafoni, qualche foglio trascritto, i bagliori di un piccolo vecchio video d’archivio sul tropismo vegetale e una pianta da interni su cui un riflesso di luce insiste.

Riflessi in cui ritrovarsi, nella cui luce entrare per provare a scandire il tempo e lo spazio secondo un modo di interpretare gli accadimenti precedenti a noi, che pure hanno un risvolto ancora nel qui ed ora; non importa se tali avvenimenti non appartegono alla nostra vita o a quella delle persone a noi care, gli Afterall trasformano il fatto in allergoria, traducono frammenti di realtà in scoprimento del reale che, da soggettivo in altro luogo e altro tempo, diventa universale. ‘Non importa quando’ cantava Nicola Arigliano e nulla resta Fine a sé stesso se ricondotto ad una nuova scala di gradiente emotivo, percettivo e speculativo, come su una grande lavagna, la parete di una stanza d’hotel, taccuino scenico di nuove storie.

AFTERALL
FINE A SE STESSO, Stanza 101
Art Hotel Gran Paradiso
Via Catigliano 8, Sorrento (Na), Visibile su appuntamento.

Azzurra Immediato

Azzurra Immediato, storica dell’arte, curatrice e critica, riveste il ruolo di Senior Art Curator per Arteprima Progetti. Collabora già con riviste quali ArtsLife, Photolux Magazine, Il Denaro, Ottica Contemporanea, Rivista Segno, ed alcuni quotidiani. Incentra la propria ricerca su progetti artistici multidisciplinari, con una particolare attenzione alla fotografia, alla videoarte ed alle arti performative, oltre alla pittura e alla scultura, è, inoltre, tra primi i firmatari del Manifesto Art Thinking, assegnando alla cultura ruolo fondamentale. Dal 2018 collabora con il Photolux Festival e, inoltre, nel 2020 ha intrapreso una collaborazione con lo Studio Jaumann, unendo il mondo dell’Arte con quello della Giurisprudenza e della Intellectual Property.